Entrare nei Paesi asiatici, come scegliere l’assetto societario

Quando parlo di internazionalizzazione con le aziende occidentali, la domanda più ricorrente (dopo “come entrare con successo in Cina?” e “da quali paesi partire”) è “qual è il migliore assetto societario per entrare nei paesi asiatici tra le diverse possibilità Export, Cross Border, Distributore, Joint Venture, Filiale,ecc…?”. Ci sono chiaramente plus e minus di ognuno di questi ma la verità è che non esiste una risposta giusta o un assetto migliore degli altri in termini assoluti.

La scelta finale dipenderà da un mix di fattori del mercato e anche di prospettiva e di obiettivi interni della propria società.Per questo prima di considerare i plus e minus di ogni aspetto societario, è necessario approfondire quattro fattori che influiranno sulla decisione, quattro prismi fondamentali da analizzare per decidere la migliore modalità di ingresso nel mercato.

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1. Strategicità del mercato. Questo si declina sotto due punti di vista. Il primo sono le dimensioni assolute del mercato: quanto più è grande, tanto più sarà impegnativo da penetrare, ma altrettanto inevitabilmente prima o poi si finirà per gestirlo in forma diretta. Ma oltre alla dimensione, occorre domandarsi: esistono altri fattori che rendono importante avere successo in questo mercato? Si tratta di un mercato tecnologicamente avanzato nel quale è importante avere una presa diretta per avere accesso alle ultime tendenze e tecnologie? Oppure vi è un elemento di immagine e di prestigio che si irradia ad altri mercati? Ad esempio nel settore del selettivo (moda, beauty e design) in Asia la Corea del Sud riveste un’importanza strategica in quanto è il Soft power della regione asiatica. In tutti i paesi asiatici si guardano le serie tv coreane e si ascolta il k-pop, che esportano i loro stili canoni estetici e product placement, che sono pertanto da presenziare nel mercato coreano per potere crescere in tutta l’Asia.

2. Difficoltà e complessità di ingresso nel mercato. La difficoltà può risiedere nella vastità, nelle barriere regolamentari e di registrazione dei prodotti, nella sofisticazione del consumatore, e altro ancora. Facciamo qualche esempio. Il Giappone non ha grandi difficoltà regolamentari all’ingresso, ma la distribuzione è estremamente matura e nel caso del mercato del lusso il principale canale di distribuzione ad oggi, i department stores, ammortizzano gli shop in 10 anni e quindi raramente si liberano spazi per nuovi entranti, per cui è necessario trovare un partner che abbia una relazione molto stretta con la distribuzione. Anche l’ingresso in Corea del Sud non è troppo difficile dal punti di vista regolamentare, ma è un mercato maturo ed iper competitivo, con dei competitor locali formidabili, quindi anche in Corea è necessario trovare partner locali anche con capabilities di real estate. In Cina la difficoltà risiede nella vastità del mercato e negli ingenti investimenti richiesti, spesso nella registrazione e difesa del marchio (e dei prodotti), ma soprattutto i sistemi digitali di influenza del consumatore sono complessissimi e molto diversi dai nostri e vanno compresi prima di farsi del male. In Cina servono capitali e management sofisticato e locale.

Nei paesi meno sviluppati ma a maggior crescita del Sud Est Asiatico come l’Indonesia (300 milioni di abitanti) e il Vietnam (100 milioni), oltre al fatto che l’importazione e la registrazione di prodotti è molto complessa, è di fatto vietato ad aziende straniere di operare senza un partner locale di maggioranza.Come avevamo visto nel precedente articolo, spesso tutti questi fattori di complessità e regolamentazione vengono sottovalutati e non pienamente approfonditi prima di imbarcarsi nel processo di internazionalizzazione ed una loro previa comprensione è un passaggio obbligato per capire con che tipo di assetto proporci in questi paesi e che eventuale partnership ricercare.

Fonte: Il Sole 24 Ore