etica e innovazione dall’Italia al MIT

etica e innovazione dall’Italia al MIT

Insegna in Italia, fa ricerca in Massachusetts, fa consulenze in mezza Europa. Segue la sua passione intellettuale. E contribuisce a realizzare innovazioni dotate di un’avvertita direzione etica. Ha iniziato a percorrere questa strada fin dall’università, perché non l’ha pensata come un insieme di esami da superare, ma l’ha vista come un’occasione di ricerca, per dare un senso alla sua vita. In un suo libro esordisce chiedendosi: «Che cosa significa e implica essere persone nelle società algoritmiche contemporanee? Gli algoritmi che permeano gli ambienti iperconnessi odierni influiscono sui processi di formazione della nostra identità personale?». Di certo, quelle domande hanno influito sull’identità personale dell’autrice, Simona Tiribelli.

Forse, tutto è cominciato nella sua casa di Lunano, un paese in provincia Pesaro Urbino, nel Montefeltro. Aveva appena passato l’esame di maturità. Era orientata a proseguire gli studi con una laurea scientifica, ma era anche interessata alla filosofia perchè apprezzava la chiarezza delle categorie che quella materia insegnava per interpretare la realtà. Quella sera suo padre le mostrò la locandina della Scuola di studi superiori “Giacomo Leopardi” all’università di Macerata. Prometteva un percorso formativo fatto di impegno, interdisciplinarietà, esperienze internazionali. Furono queste a colpirla. E tra queste notò un corso estivo di etica applicata a Lovanio. Fece domanda e fu ammessa.

Proprio le esperienze internazionali le hanno dato la spinta decisiva. A sentirla parlare degli anni dell’università si sente l’entusiasmo di chi ha trovato la sua strada in un percorso di studi che diventarono immediatamente ricerca. Approfondì i problemi etici proposti dalle tecnologie. Divorò i paper scientifici. Fece un’esperienza ad Amsterdam cercando di capire come le risposte etiche fondamentali si adeguavano alla complessità della realtà. Si concentrò sulle traiettorie di sviluppo del digitale. Fece domanda per il dottorato quando non era ancora laureata. Il titolo del progetto di ricerca era sulla libertà di scelta nell’epoca degli algoritmi. Era il 2016, l’anno in cui tutti parlavano di fake news. «Ma quelle erano la punta dell’iceberg» intuiva. Sentiva di dover cercare piuttosto le radici del fenomeno, indagando intorno alle conseguenze degli algorimi.

Il dottorato imponeva almeno dodici mesi all’estero. Andò a Parigi. Ma sognava il MediaLab, il mitico centro di ricerca del Massachusetts Institute of Technology fondato da Nicholas Negroponte. Superando ogni timidezza, inviò una lettera all’allora direttore Joi Ito, imprenditore visionario, pensando che non avrebbe mai avuto risposta. Invece ricevette un invito ad andare a studiare proprio al MediaLab. Fece l’immane sforzo di compilare l’immensa domanda per una borsa Fulbright. La vinse. E partì.

Fonte: Il Sole 24 Ore