
Eurobond, un mercato da 600 miliardi pronto a scattare con sicurezza e difesa
Un mercato da 600 miliardi di euro, destinato a sfondare il tetto del «trilione» già alla fine del prossimo anno, ma che potrebbe continuare a crescere per puntare verso dimensioni che forse nessuno poteva ipotizzare al momento della sua creazione. I bond emessi dalla Commissione europea sono più che mai al centro dell’attenzione, in una fase in cui i Paesi che fanno parte dell’Unione saranno necessariamente chiamati a sostenere un ammontare di spese sempre più rilevante per poter coprire l’aumento dei costi legati ai capitoli su sicurezza e difesa, competitività, ma anche transizione energetica.
Trasformazione del mercato
L’idea di utilizzare in modo permanente questi strumenti di debito comune, al momento destinati a finanziare i prestiti e le sovvenzioni del piano Next Generation Eu (Ngeu) e le spese per la missione in Ucraina, è una delle ipotesi che anima le ferventi discussioni fra i rappresentanti politici. La sua realizzazione provocherebbe un’indubbia a trasformazione del mercato di quelli che vengono comunemente ribattezzati Eurobond, non soltanto in termini puramente quantitativi. L’espansione sarebbe tuttavia sostenibile a detta degli esperti, e soprattutto non appare destinata a creare contraccolpi sui titoli emessi dai singoli Stati, che potrebbero addirittura uscire rafforzati dalla svolta.
I numeri
Sul piano strettamente tecnico, il dato certo è che l’ammontare dei bond Ue al momento in circolazione viaggia al momento appunto attorno ai 600 miliardi e che le emissioni a medio lungo termine previste dalla stessa commissione nel primo semestre dell’anno in corso aggiungeranno ulteriori 90 miliardi ai 138 collocati nell’intero 2024. Gli analisti finanziari ritengono che la soglia dei mille miliardi possa quindi essere raggiunta entro la fine del 2026, mentre gli sviluppi futuri sono legati in modo innegabile al nuovo Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2028-2034 che l’Unione si appresta a discutere già a partire seconda metà dei quest’anno.
Il bilancio comunitario dovrà infatti tenere conto non soltanto del crescente fabbisogno di spesa per i temi appena ricordati, ma anche finanziare il rimborso entro il 2058 delle obbligazioni emesse per erogare i fondi Ngeu e gli interessi passivi a esse collegati. A causa dell’aumento dei tassi di interesse, questi ultimi sono in base alle valutazioni della Commissione già superiori al budget inizialmente previsto per un ammontare compreso fra i 17 e i 27 miliardi, e potrebbero secondo i calcoli dell’Ufficio studi di Intesa Sanpaolo costringere la Ue a destinare fra il 13 e il 16% delle risorse totali ai costi dello strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, distogliendole quindi da altri programmi strutturali.
La mina vagante
Visti sotto questo aspetto, gli ingenti stanziamenti che si profilano all’orizzonte per la difesa, che le stime indicano nell’ordine dei 500 miliardi per i prossimi 10 anni e che da molte parti si starebbe valutando di finanziare anche attraverso appositi titoli garantiti dalla Ue, rischiano di rappresentare la classica mina vagante. Difficile che l’ambizioso progetto di un bilancio comune possa tuttavia diventare realtà in tempi brevissimi, proprio a causa di numerosi ostacoli tecnici, giuridici e in particolare politici per la resistenza di molti governi sia ad aumentare il proprio contributo alle spese, sia soprattutto a condividere il nuovo debito con gli altri Stati membri.
Fonte: Il Sole 24 Ore