
Eutanasia di nuovo all’esame della Consulta
L’eutanasia approda questa mattina all’esame della Corte costituzionale, dove è in programma un’udienza assai attesa. In discussione la legittimità della norma del Codice penale, l’articolo 579, che tuttora punisce l’omicidio del consenziente. Dove a venire condannata è la persona che attua la volontà altrui di procedere al suicidio, nell’ipotesi in cui la persona malata, per impossibilità fisica e assenza di dispositivi idonei, non può procedere in autonomia o quando comunque le modalità alternative di autosomministrazione del farmaco letale non sono accettate per scelta motivata e non irragionevole.
La questione
A sollevare la questione è il tribunale di Firenze per il quale la condotta di agevolazione o istigazione al suicidio, prevista dall’articolo 580 del Codice, da una parte è vicina a quella di omicidio del consenziente, soprattutto nei casi di «aiuto a morire» praticati in situazioni terminali di vita. Tuttavia, in via interpretativa, non è possibile inquadrare la condotta di colui che provoca materialmente la morte sostituendosi in pratica all’aspirante suicida, nel reato invece di aiuto o istigazione al suicidio e quindi, alle condizioni già delineate dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 242/2019, nell’area di non punibilità. L’aiuto al suicidio presuppone infatti che l’atto sia comunque compiuto direttamente dal malato, nonostante la presenza di una condotta estranea di agevolazione, e che lo stesso mantenga il controllo sull’azione (Cassazione, 26015/2023).
No all’estensione
Neppure è possibile, ricordano i giudici toscani, estendere in via interpretativa da parte del giudice ordinario le condizioni dettate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 alla diversa fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 579 del Codice penale.
Il contrasto con la Costituzione
E allora, per l’ordinanza di rinvio alla Consulta, si profila un contrasto con l’articolo 3 della Costituzione per la irragionevole disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche. A parità di condizioni (persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili) il diritto all’autodeterminazione del paziente viene a essere condizionato da un fatto (possibilità di autosomministrazione del farmaco letale) del tutto accidentale, dipendente dalla condizione clinica della persona, dalle modalità di manifestarsi della malattia e dalla sua progressione.
La vicenda
Il caso che sarà esaminato oggi nell’udienza pubblica della Consulta è quello di una donna di 55 anni, colpita da sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata e mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Possiede tutti i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito stabiliti dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2019, però non è fisicamente in grado di assumere autonomamente il farmaco letale: è completamente paralizzata dal collo in giù, ha difficoltà nel deglutire e dipende dai suoi caregiver per tutte le attività quotidiane. Ha rifiutato la sedazione profonda nella volontà di conservare lucidità e coscienza sino alla fine.
Fonte: Il Sole 24 Ore