
Ex Ilva, accordo più vicino. Urso: due scenari per la firma
La strada per giungere all’accordo di programma per la decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto sembra in discesa dopo l’incontro di ieri tra il ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit), la Regione Puglia e gli enti locali di Taranto. A professare ottimismo è in primis il ministro Adolfo Urso, anche se si continua a trattare e ci sono punti aperti.
Un nuovo incontro è fissato per il 15 luglio («per firmare» chiede il Mimit) e di conseguenza la conferenza dei servizi sulla nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia), che il ministero dell’Ambiente aveva già convocato per domani, è stata rinviata di una settimana. Questo per dar modo di chiudere prima l’accordo di programma.
Nelle prossime ore il Mimit, come spiegato da Urso, metterà sul tavolo ulteriori due ipotesi per arrivare all’accordo. In entrambi i casi con obiettivo 6 milioni di tonnellate. La prima prevede tre nuovi forni elettrici, altrettanti impianti di preridotto per alimentare i forni, e una nave di rigassificazione per dare il gas necessario alla decarbonizzazione. Particolare significativo è che l’operazione verrebbe fatta in otto anni, cercando di accelerare il più possibile, mentre ora si prevede che tutta l’operazione vada a regime entro il 2039, una data che Regione ed enti locali ritengono troppo lontana. Tant’è che hanno chiesto una tempistica racchiusa nell’arco di sei-sette anni, ma il Mimit vede difficile scendere sotto gli otto.
In quanto alla nave, il Mimit l’ha proposta in porto come a Piombino, ma su questo la chiusura di Regione ed enti locali è stata totale. Dal fronte Taranto è stata quindi rilanciata la collocazione della nave a 12 miglia dalla costa, mentre il ministero ha ribadito che distanza e profondità dei fondali in quel tratto di mare rendono la gestione dell’unità antieconomica. In alternativa alle due ipotesi, cioè porto e 12 miglia, si approfondirà quindi una terza possibilità: mettere la nave in prossimità della diga foranea, così come suggerito dall’Autorità portuale del Mar Ionio, che significa fondali meno profondi ed una distanza più contenuta dalla costa rispetto alle 12 miglia. Ma anche quest’ultima possibilità vede per ora molto dubbioso il Comune di Taranto.
L’altro scenario, invece, verte sulla possibilità che a Taranto non arrivi la nave perché non si trova la quadra. E allora si costruirebbero solo i tre forni elettrici, con i tempi che scenderebbero a sette anni da otto e con il gas che arriverebbe dal Tap. Il preridotto verrebbe invece spostato altrove: una possibilità è Gioia Tauro, dove un rigassificatore terrestre è stato già autorizzato e il cantiere deve partire. In questo caso la società pubblica Dri d’Italia, che deve spendere il miliardo di euro stanziato in proposito e trasferito dal Pnrr al fondo di coesione, dovrebbe impegnarsi – dicono fonti vicine al Comune di Taranto – ad alimentare anzitutto il siderurgico del preridotto che serve per poi magari vendere ad altri l’eventuale quota in eccesso. Quest’impegno, ha chiesto il Comune, va anche inserito, per renderlo vincolante, in un emendamento nell’ultimo decreto legge sull’ex Ilva, attualmente al vaglio della commissione Industria del Senato. Per il Comune è inoltre necessario coinvolgere i sindacati nella discussione sull’accordo. Inoltre, come rivelato ieri dal Sole 24 Ore, c’è la pesante incognita di un nuovo bando di gara. Un accordo di programma infatti richiederebbe probabilmente anche il lancio di una nuova procedura poiché si passerebbe da un invito a decarbonizzare sia pure posto come priorità – e tale era nel bando di vendita di luglio 2024 – ad un percorso più vincolante, cioè i tre forni elettrici, dal quale il nuovo investitore non potrebbe derogare.
Fonte: Il Sole 24 Ore