
Ex Ilva: l’azienda aumenta la richiesta di Cassa su altre 400 unità nel gruppo
Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria – l’ex Ilva – aumenta la richiesta di cassa integrazione straordinaria nel gruppo in vista del confronto con i sindacati metalmeccanici giovedì 18 settembre al ministero del Lavoro. Attualmente la cassa è regolamentata da un accordo raggiunto al ministero lo scorso marzo che prevede 3.420 lavoratori temporaneamente sospesi nel gruppo di cui 2.680 a Taranto. L’intesa di marzo, però, prefigurava un’azienda in ripartenza e invece l’incendio dei primi di maggio all’altoforno 1 – e il conseguente sequestro senza facoltà d’uso disposto dalla Procura – ha fatto saltare tutti i piani. L’ex Ilva è tornata a marciare con un solo altoforno, il 4. Che peraltro nel pomeriggio del 15 settembre, a causa della rottura di un nastro trasportatore in gomma, nastro che serve a caricare i materiali necessari alla produzione della ghisa, è stato anche temporaneamente fermato ed è dato dall’azienda in riavvio nella nottata tra il 16 e il 17.
Tuttavia, al di là dell’episodio specifico accaduto all’altoforno 4, resta il dato di fondo di un’azienda che procede a passo ridottissimo in attesa che tornino operativi gli altri due altiforni, l’1 e il 2. Per questa ragione, a giugno l’azienda ha chiesto di innalzare il numero massimo della cassa integrazione da 3.420 a 4.050 nel gruppo, di cui 3.500 a Taranto, richiesta che però non è stata approfondita con i sindacati perché l’incontro al ministero del Lavoro tra luglio e agosto è stato rinviato più volte. Ora il 15 settembre, in prossimità dell’incontro del 18 che al momento è confermato, Acciaierie ha ulteriormente modificato la richiesta di cassa aggiungendovi altre 400 unità. Pertanto, il nuovo numero massimo relativo al personale da sospendere è pari a 4.450 dipendenti, di cui 3.800 a Taranto e 647 negli altri stabilimenti. Di questi, 280 sono Genova.
L’azienda: produzione gravemente insufficiente
Nella comunicazione fatta ai ministeri, ai sindacati e alle Regioni che ospitano impianti e attività ex Ilva, l’azienda afferma che «la richiesta di incremento dell’intervento dell’ammortizzatore sociale è funzionale a controbilanciare l’aggravarsi dello squilibrio dei fattori produttivi». «Nello specifico – scrive l’azienda -, a fronte di un organico complessivo pressoché stabile (9.741 unità), lo stabilimento di Taranto e le unità produttive a valle dello stesso, marciano con assetto che – all’attuale e nel medio termine – risulta essere contraddistinto e condizionato da una produzione di ghisa gravemente insufficiente ed incoerente con i costi di esercizio e gestione».
Per l’azienda, «il flusso produttivo della ghisa, è oggi garantito dalla marcia del solo altoforno 4, cui nel medio termine si affiancherà l’altoforno 2, oggetto di intervento manutentivo. L’avvio produttivo di tale ulteriore altoforno – spiega l’azienda – consentirà nei programmi aziendali, a valle, di effettuare i programmati interventi tecnici sull’altoforno 4. Di conseguenza, l’avvio dell’altoforno 2 non comporterà immediatamente un significativo innalzamento della produzione, obiettivo che potrà essere raggiunto solo con il ripristino della piena funzionalità anche dell’altoforno 1, all’esito del richiesto provvedimento di dissequestro e dei necessari interventi a garanzia della funzionalità anche di tale altoforno».
Si aggrava lo squilibrio costi-ricavi
«L’aumento della produzione, dunque – scrive ancora AdI – sarà realizzato gradualmente con l’avvio dell’altoforno 4, fino al raggiungimento della produzione standard prevista anche con il ripristino dell’altoforno 1. Al termine di tale percorso, la società conta di riuscire a ripristinare livelli produttivi soddisfacenti che, pur in sé inidonei rispetto all’obiettivo finale del riequilibrio, risulterebbero in grado tuttavia – potenzialmente – di generare un flusso di cassa tale da rendere più sostenibili i costi fissi”. Per l’azienda, “il non modificabile volume produttivo in essere sta progressivamente aggravando lo squilibrio finanziario indotto dal peggioramento del rapporto costi/ricavi, rischiando di determinare l’insostenibilità della gestione societaria».
Fonte: Il Sole 24 Ore