Family influencer, quasi l’80% dei minori pubblicati sui social ha tra 0 e 5 anni
Tutelare i minori, educando innanzitutto i genitori. Solo così si può immaginare di governare il fenomeno dei family influencer, quei genitori che coinvolgono i figli minorenni nelle attività commerciali sui social network, spesso trascurando, principalmente per scarsa consapevolezza, i rischi e i danni a cui vengono esposti i figli con la pubblicazione, sin dalla nascita, di immagini e video.
Suona, infatti, come una chiamata alla responsabilità da parte dei genitori e all’azione da parte della politica la ricerca «Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer», presentata ieri, a Milano, e condotta da Terre des Hommes Italia con Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria, Almed – Università Cattolica del Sacro Cuore, l’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali, e il partner tecnico Not Just Analytics.
I dati della ricerca
Su 20 profili di family influencer e 1.334 contenuti social analizzati, emerge che i minori appaiono in un contenuto organico su due e in uno sponsorizzato su quattro. In un terzo circa dei contenuti pubblicitari, i bambini e le bambine sono parte attiva dell’advertising. Nella maggior parte dei casi, non sono adottate forme di tutela della privacy, come riprese di spalle, immagini pixellate o aggiunta di emoticon sul viso. «Nel 29% dei contenuti si riscontrano situazioni potenzialmente problematiche rispetto alla privacy: nel 21% dei casi sono mostrati momenti intimi; nel 6% il minore è coinvolto in trend o challenge», ha spiegato Elisabetta Locatelli, ricercatrice in Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Cattolica. I bambini più esposti risultano essere quelli con un’età compresa tra gli 0 e i 5 anni (sono quasi l’80%).
Il social network più usato è Instagram (91%), il formato preferito è quello delle stories (83%), le location delle riprese si suddividono fra esterno (53%), interno spazio comune (29%), interno spazio intimo (10%). Due elementi sono particolarmente interessanti: solo nel 12% dei casi il coinvolgimento dei bambini a livello commerciale è legato alla promozione di prodotti per l’infanzia; il contenuto organico ha un tasso di interazione più alto non solo perché si è portati a evitare la pubblicità, ma anche perché ci si identifica con il messaggio emozionale e aspirazionale veicolato.
Il consenso informato è di complessa attuazione perché anche quando si rendono conto di essere registrati (36% dei casi), i minori non sanno a quali conseguenze porterà la loro esposizione sui social (rischi di adultizzazione e sessualizzazione), «senza contare la difficoltà di rapportarsi a un genitore che diventa anche datore di lavoro», ha ricordato Federica Giannotta, responsabile Advocacy e Programmi Italia di Terre des Hommes.
Fonte: Il Sole 24 Ore