Fiat 500, trasformazione dall’elettrica alla mild hybrid. Ecco come rinasce la citycar tutta italiana

Fiat 500, trasformazione dall’elettrica alla mild hybrid. Ecco come rinasce la citycar tutta italiana

TORINO – Un misto di glamour e di retrò, tecnologia (poca, ma forse quella che serve) e stile senza tempo. Ma soprattutto ha un compito importante: rimettere in piedi lo stabilimento di Mirafiori. Ecco in sintesi la “nuova” Fiat 500 Hybrid che debutta in anteprima, nel giorno del 68esimo anniversario del modello originario, nella storica fabbrica torinese, dove viene prodotta come variante della Fiat 500 elettrica, nata nel 2020 e che ha subito un progressivo calo di vendite che ha messo a repentaglio l’impianto piemontese. Così, Fiat ripropone la 500 ibrida, dopo la fine della produzione del modello nato nel 2007.

La vettura, come è noto, è il frutto di una complessa operazione industriale e ingegneristica, perché, in una necessaria ma singolare retromarcia tecnologica, la vettura nasce come modifica di un modello nato come elettrico, su una piattaforma BEV dedicata.

La modifica ha richiesto sforzi economici e progettuali e inevitabili compromessi. A causa delle limitazioni nel cofano, tra i duomi delle sospensioni, non è stato possibile utilizzare un powertrain 1.2 litri mild hybrid a 48 Volt con cambio automatico, come quello di molti modelli di Stellantis come la Grande Panda o la Jeep Avenger. La scelta è ricaduta sul mille cc tre cilindri serie Firefly da 70 cavalli, lo stesso che monta la Pandina costruita a Mirafiori, analogo a quella della vecchia 500 in produzione fino allo scorso anno a Tychy in Polonia. Si tratta di un 3 cilindri ibrido (molto) leggero a 12 Volt con schema BSG e cambio manuale a sei marce. E la mancanza di una trasmissione automatica per una citycar è forse il suo limite più grande, che però compensa con il prezzo d’attacco: 17mila euro. Tre le versioni di carrozzeria proposte: berlina, 3+1 con porta aggiuntiva e con tetto apribile in tela.

E questo, in un mercato con prezzi medi a quota 28mila, è un vantaggio non da poco e che potrebbe aiutare a raggiungere il target di 100mila unità all’anno, a partire dal 2026 e garantire l’occupazione nello storico stabilimento che potrebbe riprendere anche a lavorare su due turni, e portare quindi anche benefici sul fronte occupazionale e sull’indotto. Insomma una boccata d’ossigeno per il Made in Italy anche con un modello che è sideralmente distante da quelli super tecnologici della concorrenza cinese. E forse non è un male tornare a guidare auto semplice ma dal design cool.

Fonte: Il Sole 24 Ore