Foodtech, investimenti a -38% ma l’hub di Verona rilancia con un nuovo incubatore
Idee embrionali di nuove tecnologie all’avanguardia per l’agroalimentare. Arrivano già da tutta Italia. A candidarsi, per accedere al percorso intensivo di formazione, mentorship e confronto con aziende e investitori, sono studenti, ricercatori, startupper. Ma anche atenei che hanno allevato e lanciato spin-off. “Il nostro obiettivo è quello di far uscire la ricerca dai laboratori per farla entrare direttamente in contatto con le imprese e con il mercato, superando le difficoltà che ancora ci sono nel trasferimento tecnologico alle aziende”, dice Filippo Federico, ecosystem manager del Verona agrifood innovation hub (Vaih), il polo veneto nato due anni fa per disseminare innovazione e formazione nell’agroalimentare, dal campo alla tavola, cercando di stabilire sinergie tra industria e centri di ricerca. Si deve proprio a Vaih il lancio di Foodtech Incubator. E della sua prima call che resterà aperta fino al 21 ottobre. Per poi selezionare fino a 10 progetti. E contribuire a colmare gli spazi vuoti nel rapporto tra università, centri di ricerca e mondo delle imprese.
I partner: atenei, banche, acceleratori
Una scommessa che coinvolto, tra gli altri, gruppi bancari, Comune e Confindustria di Verona. Poi due realtà industriali del settore, Vason Group, colosso nel campo dei prodotti per l’enologia, e Molino Padano (farine professionali e per l’industria), che ha il proprio stabilimento produttivo a Salara, in provincia di Rovigo. Ancora: Eatable Adventures, acceleratore foodtech su scala mondiale. Perché il potenziale c’è, come ha dimostrato l’ultima edizione di Foodseed, programma di sostegno alle start up, dalla quale sono emerse nuove imprese innovative come l’emiliana Mama Science (biomateriali per il packaging alimentare), Nous Energy (Piemonte) che con Koncentra ha messo a punto l’alternativa alla caffeina che migliora le prestazioni cognitive, la veneta Asteasier (biotecnologie per la produzione sostenibile di ingredienti naturali per la mangimistica e la nutraceutica).
Troppe collaborazioni spot con le università
L’anno scorso solo poco più del 15% delle nuove tecnologie per l’agrifood è nato dalla collaborazione con una università. Mentre quasi il 77% è stato sviluppato all’interno della start up stessa. “Tutte le aziende hanno amministratori delegati che lavorano sull’innovazione ma il problema è quello di agire nell’ambito dell’open innovation – prosegue Federico – e di trovare nuovi punti di contatto tra ricerca e imprese”. Vaih sta cercando identificare tutte le esigenze delle aziende. “Abbiamo visto che le tecnologie più richieste sono quelle relative all’intelligenza artificiale, al biotech all’internet of things”, spiega Federico. Una mappatura che è necessaria anche per selezionare le idee più interessanti. I criteri che saranno utilizzati? Prima di tutto la scalabilità: vale a dire che sarà valutata la possibilità concreta di una start up innovativa di scalare il mercato. Poi sarà presa in esame la capacità altrettanto concreta di portare effettivo valore alla filiera. Ciò che interessa ora al polo veronese è la creazione delle condizioni per far nascere nuove imprese ad alto potenziale.
Lo scenario: investimenti in frenata
L’anno scorso nel campo delle nuove tecnologie per l’agroalimentare sono nate 407 start up, che hanno generato quasi 3 mila posti di lavoro. Il numero dei dipendenti è però diminuito rispetto all’anno precedente. E sono quasi crollati gli investimenti. A quota 103 milioni, sono calati del 38%. Il settore del foodtech continua a dare segnali di grande fermento ma il rallentamento c’è. Un avvertimento che arriva dallo stesso Vaih, con il report annuale. Da rilevare che sul piano degli investimenti tutto è più o meno in linea con lo scenario europeo (-18,7%) ma l’Italia ha pagato un prezzo più alto. Le ragioni? Una riduzione del numero dei round di grande entità a cui ci eravamo abituati in passato. Riduzione dovuta a una maggiore prudenza del mondo finanziario che non riguarda solo l’agroalimentare ma le start up complessivamente.
Gli startupper e gli ambiti di intervento
L’età media degli startupper italiani si aggira intorno ai 40 anni. Sono in larga prevalenza laureati, in oltre il 37% dei casi hanno conseguito un dottorato di ricerca. Le due regioni che spiccano per idee imprenditoriali innovative nel foodtech sono la Lombardia (30,5%) e l’Emilia-Romagna (11,1%), il Sud resta quasi assente. Le innovazioni che vengono messe a punto riguardano principalmente la produzione e la trasformazione alimentare (29%) e l’agritech (28%). Seguono la logistica e tutto ciò che riguarda il delivery, le tecnologie per il retail e il canale horeca, infine per il kitchen. In quelle per l’agricoltura dominano l’automazione delle colture e la robotica, seguite da nuovi sistemi di coltivazione. Nell’industria della trasformazione sono i nuovi prodotti a farla da padrone. Subito dopo prendono sempre più piede le nuove tecnologie per l’economia circolare.
Fonte: Il Sole 24 Ore