Forattini, maestro insuperabile della vignetta
Chissà se Giorgio Forattini, scomparso martedì all’età di 94 anni, sapeva l’origine della parola “vignetta”, di cui è stato senza dubbio un maestro insuperabile: salace, irreverente, provocatorio, irritante, fantasioso, geniale? Viene dal francese vigne: la cornice di foglie di vite che circondava le figure grottesche presenti nei manoscritti medievali. Il grottesco, così decisivo nella satira disegnata, era certamente una delle caratteristiche dei suoi ritratti, in particolare dei politici. Come dimenticare la celebre rappresentazione di Amintore Fanfani il giorno dopo la vittoria del No al referendum sul divorzio? Il “radicale” Forattini l’aveva rappresentato nelle fattezze di un tappo in cima a una bottiglia di champagne con quel diniego a mo’ di etichetta. Tre cose in un colpo solo: l’indispensabile brindisi, il vino prezioso e l’allusione alla bassa statura del segretario democristiano. A lui non stavano certo simpatici i politici, che aveva rappresentato secondo un bestiario ben calibrato, passando attraverso le somiglianze lombrosiane e i soprannomi affibbiati da un giornalismo pre-Dagospia ai singoli esponenti di partito. E che dire del Berlinguer in vestaglia seduto in poltrona nel suo salotto, con il ritratto di Marx sopra la testa che beve una tazza di tè mentre, quasi indispettito e snob, sente passare sotto le sue finestre la manifestazione sindacale cui non partecipa? La lista è quasi senza fine. La prima Repubblica è stata tutta da lui cartografata con mano abile, spiritosa e corrosiva, in particolare Bettino Craxi, primo ministro, cui Forattini faceva indossare la camicia nera o che metteva a testa in giù con un cappio legato ai piedi come se fosse il fu Benito. Impensabile oggi, in tempi di politically correct, dedicare ritratti al fulmicotone ai leader attuali. Cosa succederebbe? Eppure il disegnatore romano si è preso nel corso della sua lunga carriera (esordisce su Paese Sera nel 1971 come disegnatore di fumetti) molte querele e persino condanne, tanto che i suoi cambi di testata, da La Stampa a Panorama, da La Repubblica a il Giornale e viceversa, furono decisi dal sostegno più o meno tiepido ricevuto dal suo datore di lavoro del momento. Furono soprattutto i leader comunisti italiani, da Occhetto a D’Alema a denunciarlo e a chiedere i danni per le sue allusioni, ad esempio ai finanziamenti sovietici al PCI nel 1991 – solo la sinistra lo querelò almeno 20 volte, andava ripetendo Forattini. E proprio in quella occasione fu condannato da un giudice milanese che definì la vignetta non solo una espressione satirica “ma un vero e proprio veicolo di informazione giornalistica” per cui vale il limite del diritto di cronaca. Del resto, proprio per merito di Forattini, la vignetta era entrata nel novero delle forme propriamente giornalistiche, alla pari d’un articolo di cronaca o di un elzeviro, tanto che il disegnatore divenne giornalista professionista come i suoi colleghi. Proprio con lui la vignetta andò in prima pagina e diventò una sorta di articolo di fondo, di cui possedeva l’autorevolezza mescolata a una certa corrività, per altro molto condiscendente e compiaciuta del proprio risultato. Uno dei talenti di Forattini accanto alla capacità di sintesi – un disegno vale mille parole – era l’abilità grafica, mestiere che aveva esercitato ai suoi inizi. Il grottesco gli era proprio, e lo imparentava con una tradizione che rimonta alla stampa d’oltralpe di Honoré Daumier: è stato un caricaturista fatto e finito. Il giornalismo era la sua grande passione, che lo ha spinto anche a dirigere il mitico il Male nel 1979, e a realizzare inserti disegnati come Satyricon nel 1978 per La Repubblica, da cui uscirono firme come Sergio Staino e molti altri. Politicamente è stato un radicale, nel senso del partito di Marco Pannella, anche se non ha mai militato davvero in nessun raggruppamento: il suo credo più forte è stata l’opposizione all’integralismo d’ogni specie e forma. Lascia dietro di sé uno scaffale di suoi libri in cui, con costanza e determinazione, ha raccolto via via le proprie vignette, il suo alloro di foglie di vite più glorioso e duraturo, compreso un suo spiritoso autoritratto disegnato.
Fonte: Il Sole 24 Ore