Fra artigianato e autenticità, le speciali relazioni fra l’Hotel Savoy e la sua Firenze

In piazza della Repubblica a Firenze la giostra è una presenza fissa per i bimbi che implorano per un altro giro sul cavalluccio bianco in un turbinio di gente, luce e palazzi antichi. Tra questi c’è quello che ospita l’Hotel Savoy, il cinque stelle che si è aggiudicato una posizione speciale sul limite dell’area pedonale, nel cuore della città, tra la via dello shopping e la piazza di fondazione romana, poi fulcro del Regno d’Italia della Firenze capitale, e salotto bohemien quando scrittori e futuristi si incontravano nei suoi caffè, molti dei quali sono tuttora aperti come il Paszkowski.

Certamente il Savoy ha una storia più breve della celebre piazza su cui si affaccia, ma ne ha assorbito l’atmosfera, aggiungendo il suo grazioso dehors proprio lì, per offrirne una prospettiva completa ma appartata. Ed è questo lo stile dell’hotel: annodare una relazione confidenziale con la città intorno, senza fare scalpore. I portieri in livrea, come una volta, i tessuti del fiorentino Pucci nella lobby, il viavai di valigie firmate, il ristorante bar, piccolo ma movimentato, il menù di Fulvio Pierangelini, che a volte spunta dopo cena con la sua ironia provocatoria e il grembiule a righe annodato sulla pancia. La sua battaglia? Pochi voli pindarici a favore dei sapori autentici, perché non c’è alta cucina che possa smentire il piacere di un piatto di spaghetti al pomodoro.

Parliamo di radici, di italianità. Un impegno che il team del Savoy fa suo e coltiva con la consapevolezza di essere in una città d’arte e di artigianato. Nelle sue stanze non c’è la narrativa ormai un po’ noiosa del «100% local», piuttosto il filo conduttore del gruppo Rocco Forte, al quale l’hotel appartiene, che ha alcuni denominatori comuni e familiari: gli interni sofisticati di Olga Polizzi, sorella del fondatore italo-inglese Sir Rocco, le linee cortesia ispirate alla frutta firmate da sua figlia Irene, consulente per il benessere del gruppo, e appunto la cucina verace dell’amico Pierangelini.

Essere local significa piuttosto interpretare lo spirito della città, coglierne il suo fermento rinascimentale, con un piacevole e antico mecenatismo alla Peggy Guggenheim, che invitava gli artisti nelle sue case per riempirle di creatività. L’ispirazione arriva dalle mostre più importanti della città, come quella che nei mesi scorsi ha portato Anish Kapoor a Palazzo Strozzi e a cui è stata dedicata una cena speciale, ma anche dalle botteghe storiche che a Firenze resistono con passione e tenacia.

L’ultimo progetto del Savoy è una collaborazione con il negozio Loretta Caponi, che vende biancheria ricamata a mano su disegni fatti con la tecnica degli affreschi. Lenzuola e tovaglie meravigliose ispirate a un archivio di oltre ventimila modelli che un giorno potrebbe diventare il nucleo di un museo. Lo storico laboratorio ha realizzato un servizio all’americana con gli ingredienti della primavera per apparecchiare i tavolini all’aperto dell’hotel. Il posto perfetto per cominciare la giornata con una colazione luculliana e un’altra nota di merito: a servire c’è un gentilissimo ragazzo con la sindrome di Down, perfettamente integrato e operativo tra l’indaffarato personale di sala.

Fonte: Il Sole 24 Ore