Garous Abdolmalekian e la resistenza della poesia iraniana

Garous Abdolmalekian e la resistenza della poesia iraniana

L’interpretazione dei fatti di cronaca dettata dai media e il clima repressivo tendono a condizionare, a ridurre a una serie di stereotipi la percezione che oggi abbiamo di un paese stratificato culturalmente come l’Iran, di quella Persia che venera ancora il ruolo del poeta dentro le pratiche quotidiane in quanto portatore di libertà espressiva. Se l’Occidente dimostra di essere quasi penalizzato dal suo stesso razionalismo, incantato da “la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe”, seguendo un’immagine calzante di Garous Abdolmalekian, di fronte a un’arancia matura lo scienziato analizza e descrive, mentre il poeta impugna il frutto per spremerlo, per sentirne il profumo e berne il succo. Ecco la funzione del linguaggio poetico secondo la lectio che Abdolmalekian ha tenuto tra Firenze e Pistoia quando gli è stato conferito il sessantanovesimo Premio Ceppo Internazionale. Il poeta sarebbe dunque una sentinella, capace suo malgrado di avvertire prima degli altri i segnali tossici della società, alla stregua di “un canarino in miniera”.

La resistenza della poesia

È il titolo del capitolo dedicato ad Abdolmalekian che conclude il volume “Poeti iraniani dal 1921 a oggi” (Mondadori, 2024, pp. 444, euro 24), curato da Faezeh Maradari con traduzioni sue e di Francesco Occhetto. Sorta nel solco della terza generazione della Poesia nuova, la sua esperienza letteraria si impone tra le più rappresentative delle correnti di impegno civile a seguito della Rivoluzione del 1979 e del seguente conflitto tra Iran e Iraq (1980-88), sperimentato sulla sua pelle durante la prima infanzia: “La bomba cadde sulla scuola / volevamo gridare aiuto / volevamo chiamare per nome i nostri figli / ma anche le lettere dell’alfabeto erano in fiamme” (da “Trilogia del Medio Oriente”, 2018). Sintetica, diretta e priva di retorica, la sua penna muove da una prospettiva intima per intensificarsi e vibrare quando tratta della condizione umana e, in particolare, delle proteste popolari contro il regime e della recente offesa missilistica di Israele con il placet statunitense: “La guerra brucia / e i vigili del fuoco / non sanno spegnere l’omicidio”.

Guerra, amore, solitudine

Sovente il presidente Trump ha semplificato complesse questioni globali in slogan e narrazioni binarie (“amico/nemico”, “forte/debole”), mentre Abdolmalekian propone un verso che scava, ricercando ambiguità e, soprattutto, empatia. La parola poetica resiste all’amplificazione dell’ego sugli schermi, allo svilimento dell’altro da sé a una minaccia, e reagisce impostando una forma alternativa di relazione; quella della comprensione. La sua scrittura riesce a “pensare con l’immaginazione”, poiché l’aspetto misterioso di ogni immagine è il corpo stesso del pensiero, inventando atmosfere vivide attraverso un mondo immaginale oggettivo, concreto e comprensibile. Parafrasando il concetto di deriva hegeliana del “nascosto ritrovato”, o “nascosto palese”, il poeta scopre un tesoro e dopo lo trafuga, affinché chi legge possa trovare un tesoro più ricco di quello nascosto da chi scrive.

Versi nell’oscurità

“La poesia è un fuoco sottoterra” a cui il lettore può accedere soltanto con un gesto di scoperta, rivoluzionario nel frangente in cui si accetta di accogliere la visione altrui della realtà. “L’attenzione alla storia recente e passata non è mai scissa dalle istanze del canto per portare a compimento le vite degli altri – commenta Paolo Fabrizio Iacuzzi, presidente del premio – il dissenso di Abdolmalekian contro le emarginazioni e i soprusi non è mai scisso dalla qualità epica della sua voce, capace di riattivare la grande tradizione della poesia persiana”. In Iran i manoscritti sono sempre stati in pericolo a causa dei cambiamenti e dei tumulti politico-sociali, perciò la diffusione della poesia era molto limitata; tuttavia la sua funzione melodica ha permesso che venisse memorizzata e tramandata da una generazione all’altra, innestandosi nella memoria collettiva grazie alla trasmissione orale: “Nella mia terra / dove migrano i canti? / Dove si nascondono le ballate? / Dove vanno le poesie?”

Fonte: Il Sole 24 Ore