Gas naturale, una rivoluzione silenziosa: WE, il magazine di Eni, racconta i nuovi equilibri globali

Gas naturale, una rivoluzione silenziosa: WE, il magazine di Eni, racconta i nuovi equilibri globali

Oggi i gasdotti e le rotte delle metaniere tracciano le linee di una mappa geopolitica che sta cambiando. Il gas naturale liquefatto (GNL con l’acronimo italiano, LNG con quello inglese), fino agli anni Settanta era considerato un combustibile di nicchia, ora è una vera e propria “moneta politica”: uno strumento di controllo strategico per le potenze esportatrici e un combustibile ponte nella transizione dal carbone alle fonti sostenibili, obiettivo comune dei Paesi in via di sviluppo.

Su questo nuovo terreno di confronto, dove accanto ai vecchi interlocutori se ne affacciano di nuovi, il Sud-est asiatico si impone come cuore delle dinamiche mondiali del GNL. Come emerge dal nuovo numero di WE – World Energy, il magazine di Eni dedicato a “LNG Power Plays”, mentre le economie dell’Asia orientale si espandono e l’industria regionale vede crescere in parallelo produzione e fabbisogno energetico, l’arcipelago indo-malese prende decisioni, costruisce infrastrutture e stringe alleanze sempre più influenti a livello globale.

Metaniere, terminali di rigassificazione e oleodotti stanno progressivamente sostituendo i tradizionali strumenti di influenza geopolitica. “Il GNL è un’arma e una valuta”, scrive Moisés Naím, Distinguished Fellow presso il Carnegie Endowment for International Peace, sintetizzando la nuova logica del potere energetico globale. Una definizione che descrive bene uno scenario in cui il Sud-est asiatico è chiamato a bilanciare i ricavi da esportazione con una domanda interna in costante crescita, mentre Stati Uniti, Cina ed Europa si muovono su piani diversi ma strettamente interdipendenti.

Asean: venditore o acquirente di gas?

Ira Joseph, ricercatore al Center on Global Energy Policy della Columbia University, nell’ultima uscita del trimestrale descrive il cambio di ruolo dei Paesi membri dell’Asean (Association of Southeast Asian Nations) da esportatori a importatori netti di gas. Negli ultimi dieci anni la regione, spinta dalla crescita della domanda energetica interna, ha triplicato le importazioni di GNL nonostante il costo molto più elevato del combustibile importato (da tre a sei volte superiore rispetto a quello prodotto internamente). L’importatore più dinamico della regione è la Thailandia, paese responsabile all’incirca della metà della crescita del GNL registrata nell’Asean a partire dal 2011. Malesia e Indonesia, tra i primi produttori mondiali di GNL, rimangono esportatori netti, rifornendo sia gli altri paesi dell’area sia i grandi acquirenti del nord-est asiatico.

I dieci membri dell’Asean rappresentano oggi solo il 4 percento del consumo mondiale di gas e l’8 percento delle importazioni di GNL, ma la crescita della loro domanda potrebbe piegare, seppur non spezzare, i flussi di scambio mondiali. La rapida espansione delle infrastrutture per l’importazione di gas liquefatto in Vietnam, Cambogia, Singapore e Filippine lascia prevedere un futuro sempre più alimentato dal GNL, con una capacità che potrebbe quasi raddoppiare entro il 2030.

Tale esito, però, non è scontato. Nel mercato altamente competitivo dell’energia elettrica, il GNL deve destreggiarsi con alternative più economiche e scalabili per gli investitori, come il carbone e le fonti rinnovabili.

Dal Pacifico all’Atlantico, la nuova geografia del GNL

Anche Stati Uniti, Asia ed Europa, consapevoli di quanto sia preziosa questa risorsa, siedono oggi al tavolo delle trattative con l’obiettivo di ottenere la maggiore quantità possibile di gas liquefatto, da vendere o acquistare (o entrambe le cose).

Se sotto l’amministrazione Biden era stata data priorità ai progetti di energia rinnovabile, Donald Trump sostiene con forza l’industria del GNL degli Stati Uniti, che sono oggi il primo esportatore mondiale di gas naturale liquefatto.

Ora che è in corso la più grande delle tre ondate di fornitura di GNL registrate a partire dagli anni 2000, gli USA sono in prima linea: oltre metà dei progetti che hanno raggiunto la decisione finale di investimento (che potrebbero aumentare l’offerta globale di quasi 230 milioni di tonnellate annue entro il 2030) provengono da Washington.

Questa crescita dell’offerta si traduce in un probabile abbassamento dei prezzi spot in Europa e nel Nord-est asiatico, scenario che lascia immaginare un gas più competitivo e un ulteriore aumento della domanda.

Anche le scelte energetiche del Giappone si traducono in investimenti verso il Sud-est asiatico. Nel settimo Piano strategico per l’energia, il paese ha ribadito il ruolo centrale del GNL, sottolineando la necessità di garantire la sicurezza delle forniture ed evitare la volatilità dei prezzi.

Stati Uniti e Giappone, dunque, potrebbero collaborare per il loro interesse in comune: lo sviluppo del mercato di GNL.

Anche per la Cina, il gas potrebbe essere la risposta a gran parte delle sfide energetiche. Dal 2000, il Paese ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti. Questo progresso è stato reso possibile da un forte incremento dei consumi di carbone; infatti, attualmente il 60% di consumo globale del carbone è della Cina.

Tutta l’Asia punta a ridurre le proprie emissioni di CO₂, ma le alternative al fossile restano difficili da sviluppare. Il primato di “fabbrica del mondo”, conquistato grazie ai bassi costi del lavoro e dell’energia, oggi in Cina sembra cedere il passo alle preoccupazioni per la qualità dell’aria e il cambiamento climatico. Proprio qui si registra una crescita significativa degli investimenti nelle fonti rinnovabili e, soprattutto, un aumento dei consumi di gas naturale, la soluzione più immediata per sostenere un uso sempre più massiccio di elettricità.

Per l’Europa, invece, lo scenario è diverso: ora si trova davanti a un bivio. Come spiega Anne-Sophie Corbeau, ricercatrice della Columbia University, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha avuto grandi ripercussioni sul mercato europeo del gas: chiusi i flussi di approvvigionamento da Mosca, gli Stati Uniti e il Qatar hanno cominciato a esercitare pressioni per contendersi il ruolo di principali fornitori.

In realtà, anche se l’interesse europeo per il GNL è cresciuto negli ultimi anni, gli investimenti dell’Unione restano frenati dall’incertezza sul fabbisogno reale per i prossimi decenni. Intanto, al momento, il petrolio continua a rappresentare la quota prevalente delle importazioni energetiche dell’Ue. L’Europa deve decidere a chi affidarsi o, più realisticamente, da chi dipendere.

Quel che è certo, come emerge dalle analisi raccolte nell’ultimo numero di World Energy, è che l’intero pianeta partecipa oggi alla corsa al GNL, scommettendo su scenari estremamente sensibili a ogni decisione politica. È vero che tutto può cambiare, ma la corsa al potere energetico non lascia tempo a esitazioni.

Fonte: Il Sole 24 Ore