
gestire i conflitti per migliorare la collaborazione
Una recente indagine svolta da SHRM (Society for Human Resource Management) su un campione di 1622 lavoratori americani ci riporta questi dati: il 76% dei rispondenti ha testimoniato atti di inciviltà sul posto di lavoro, con una percentuale del 21% che ne denuncia l’esperienza diretta; il 44% ritiene che questa situazione peggiorerà nel 2025 e il 26% afferma che preferirebbe lasciare il posto di lavoro per questo motivo. Si sa che alle imprese d’oltre oceano piace monetizzare anche cose apparentemente difficili da ridurre a un numero, tuttavia riportiamo che, secondo gli studi economici che contemplano anche queste variabili (uniti ai dati di un engagement dei lavoratori ai minimi storici, dati Gallup), si calcola una perdita nel business di 2 miliardi di dollari al giorno dovuti al calo di produttività e all’assenteismo.
La polarizzazione e l’incremento di comportamenti incivili (cioè quelle forme di interazione scortese, irrispettose o inappropriate che, pur non raggiungendo necessariamente il livello di mobbing o molestia, minano il rispetto reciproco, il clima di collaborazione e il benessere psicologico delle persone) hanno messo sotto esame anche i leader a ogni livello, in quanto il loro stile di comunicazione, i loro atteggiamenti e azioni possono causare una reazione negativa da parte dei collaboratori, dei clienti e degli interlocutori istituzionali. Risulta necessario, quindi, rinnovare le competenze di Conflict Management allenate fino ad oggi, integrandole in un quadro sistemico di leadership della complessità, in quanto è proprio il tentativo di semplificare che più di ogni altro mina la capacità di sciogliere e redimere conflitti più o meno gravi.
Ecco perché, secondo il nostro punto di vista già espresso nel nostro primo articolo sul tema, nelle compagini organizzative la redenzione del conflitto non è la pace, ideale da perseguire sempre e in ogni caso, ma la collaborazione. Riteniamo infatti, che una certa dose di conflittualità sia vitale e necessaria per rendere le nostre realtà economiche vivaci e dinamiche.
Pensiamo, dunque, che sia necessario ribaltare il paradigma e proporre una prospettiva che denomineremo di “utile disaccordo” – let’s disagree better!
Nel nostro modello di pensiero, scoprire il proprio CIQ, il Quoziente di Intelligenza Conflittuale, è una consapevolezza personale strategica, utile alla persona, al gruppo di lavoro e all’organizzazione in cui si opera (anche in famiglia o nei contesti non lavorativi). Per iniziare a individuare il proprio CIQ è necessario considerare due aspetti dirimenti. Il primo: ogni team è un gruppo di interesse e il teamwork, di conseguenza, si sviluppa attraverso questa lente; secondo: è necessario avere chiara la convenienza e l’opportunità del confronto (o scontro), cioè, rispondere alle domande “a chi conviene?”, “che cosa c’è veramente in palio’”, “quali sono i rischi?”, “qual è il reale obiettivo?”, “qual è la reale motivazione?”.
Fonte: Il Sole 24 Ore