Giovanni Riina resta al 41-bis, non ha superato le logiche mafiose

Giovanni Riina resta al 41-bis, non ha superato le logiche mafiose

Giovanni Riina, figlio del «capo dei capi Totò», resta al41-bis. Sul no al suo ricorso contro la proroga del regime speciale pesano, oltre ai gravi reati commessi, il ruolo sovraordinato rispetto agli altri sodali della famiglia di Corleone e l’assenza di una volontà reale di recidere i legami con il sodalizio di provenienza.

Le motivazioni della Suprema corte

La Cassazione ha depositato le motivazioni, con le quali, il 12 settembre scorso, aveva confermato il carcere duro per Riina junior, in carcere dal 1996, dove sta scontando l’ergastolo per tre omicidi avvenuti a Corleone nel 1995. In aggiunta ai reati, che vanno dall’associazione di stampo mafioso all’omicidio plurimo, dalla soppressione di cadavere alla ricettazione e violazione della legge sulle armi, i giudici del riesame hanno – correttamente ad avviso della Suprema corte – fatto pesare sia la posizione, assunta nella famiglia mafiosa di Corleone, definita in termini di «sovraordinazione» rispetto agli altri sodali, sia l’assenza di segnali sintomatici di un effettivoravvedimento del detenuto. E, considerato che l’associazione mafiosa è ancora attiva nel territorio di Corleone, il Tribunale del riesame «ha ritenuto di ravvisare non l’attualità di collegamenti con il contesto criminale, quanto la perdurante potenzialità del detenuto di relazionarsi con soggetti appartenenti all’organizzazione criminale».

Il ruolo sovraordinato

A supporto della sua decisione, il collegio ha richiamato gli atti della Dda di Palermo, relativi a un procedimento che ha portato alla condanna di Giuseppe Salvatore Riina, consentendo di accertare «come Giovanni Riina, nonostante lo stato detentivo, godendo di una maggiore libertà di movimento rispetto al padre, all’epoca sottoposto al regime differenziato, si servisse del fratello libero e avesse assunto, tra il 2000 e il 2002, una posizione di primo piano all’interno della famiglia di Corleone». Giovanni Riina, sebbene detenuto – scrivono i giudici – «era, infatti, divenuto un punto di riferimento strategico per la consorteria mafiosa, nonché l’ispiratore di larga parte delle iniziative criminali dell’epoca, assumendo un ruolo di assoluto rilievo anche in costanza di detenzione. In quel momento, invero, anche attraverso l’investitura paterna, egli aveva esercitato poteri decisori sia quanto alla direzione da imprimere alle diverse attività illecite, sia quanto ai destinatari pro quota dei proventi raccolti attraverso tali attività, interloquendo in modo attivo — e sempre in una posizione di riconosciuta leadership — con altri segmenti dell’associazione mafiosa, in quell’attività di ridefinizione organizzativa che, in quel momento, aveva caratterizzato tale sodalizio mafioso e, in particolare, il gruppo dei corleonesi dopo l’arresto di Salvatore Riina».

Il rifiuto dei lavori umili

Non è positivo neppure il giudizio sul percorso carcerario a ulteriore riprova del giudizio di attuale pericolosità, il collegio di merito ha evidenziato che, malgrado Riina abbia intrapreso, in carcere «un graduale percorso introspettivo, che lo ha reso consapevole delle dinamiche che lo hanno condotto ad assumere un ruolo significativo all’interno di Cosa Nostra, il suo percorso trattamentale è stato comunque caratterizzato da aspetti assai negativi, in grado di gettare una luce assai poco rassicurante sul piano prognostico».

Fonte: Il Sole 24 Ore