Gli errori da evitare e i consigli per negoziare con successo
Definire un contratto, gestire un conflitto interno, prendere decisioni strategiche con più attori in gioco: i contesti di applicazione possono essere anche molto diversi fra di loro ma per manager, imprenditori e professionisti una cosa appare certa, e cioè il fatto che la negoziazione è ormai parte integrante della loro quotidianità. Ma se la consapevolezza di dover esercitare questa pratica è condivisa, meno lo sono modalità attraverso le quali la si porta all’interno dei processi e dell’organizzazione aziendale. Metodo e competenze, infatti, non sono sempre presenti e lasciano a volte spazio all’improvvisazione dettata da intuito, eccessiva confidenza o (peggio) rigidità.
All’ultimo Negotiation Forum, evento dedicato al tema del confronto e della mediazione in ambito business organizzato da ROI Group lo scorso giugno a Milano, hanno partecipato tre esperti che hanno raccontato, dalla propria prospettiva, la loro visione di “negoziazione” e spiegato quali sono oggi gli strumenti e gli errori più comuni che caratterizzano i contesti negoziali. Li abbiamo raggiunti e sentiti qualche settimana dopo l’evento per raccogliere le loro impressioni.
Jack Cambria, ex comandante dell’unità di negoziazione ostaggi del New York Police Department ha messo in evidenza l’elemento dell’empatia e rimarcato l’importanza di sapersi immedesimare nel proprio interlocutore, lasciandolo parlare e ascoltandolo pazientemente senza avere fretta di rispondere. Sono gli ingredienti “giusti” da usare anche per un manager alle prese con conflitti più “ordinari”? A precisa domanda, Cambria ha subito precisato come dai casi estremi come quelli legati alla sua esperienza professionale si può sicuramente imparare che “non bisogna mai dare nulla per scontato e agire quindi di conseguenza. E questo vale anche in un contesto aziendale, dove i manager si trovano spesso ad affrontare situazioni delicate con un cliente o con un fornitore: attraverso il processo di negoziazione, è possibile disinnescare le emozioni, placarle e poi arrivare a una risoluzione positiva del conflitto”. Non si deve spingere troppo per ottenere una soluzione rapida, questo il consiglio di Cambria, perché si corre il rischio di una reazione della controparte della stessa forza e nella direzione opposta. Anche le situazioni più incerte, in ogni caso, possono essere risolte e il fattore primario per il buon esito di una trattativa è senza dubbio l’ascolto attivo. “È l’approccio – conclude l’ex comandante della NYPD – che ogni bravo negoziatore utilizza per indurre le persone ad esprimersi, perché chiunque, anche la controparte più difficile, se ascoltata attivamente, è in grado di farci capire quali sono i problemi che sente come fondamentali e quindi ad aiutarci a elaborare una strategia che quell’individuo può accettare. Ogni negoziazione deve essere cucita sulla persona: non ci sono trattative identiche, perché non ci sono mai due problemi uguali”.
A sottolineare quanto il linguaggio, anche nelle negoziazioni d’affari, sia spesso l’elemento decisivo ci ha pensato invece Gianrico Carofiglio, ex magistrato, noto scrittore e docente in materia di tecniche di argomentazione e persuasione. Al centro della sua visione c’è il tema della consapevolezza etica, e quindi sul concetto che trattare con qualcuno significa prima di tutto riconoscere questo qualcuno come persona, tenendo sempre in considerazione la sua dignità e il suo stato d’animo. Si parte dunque dal praticare un ascolto attivo e dal ridurre il possibile squilibrio di autorità che può crearsi in alcune situazioni di colloquio tra due parti e si affronta la negoziazione come viaggio di scoperta verso cui si cerca di condurre l’interlocutore attraverso un dialogo e una comunicazione efficace. Il linguaggio, secondo Carofiglio, è azione e incide eccome nella riuscita (o nel fallimento) di una trattativa. “Le parole – precisa – non descrivono soltanto il mondo, ma lo modificano. In una trattativa, ogni parola è un gesto, un segnale, una scelta che può aprire possibilità o chiuderle: una proposta sensata, se formulata male, può essere respinta per il tono, non per il contenuto; viceversa, una posizione difficile può essere accolta se espressa con rispetto e chiarezza. Il linguaggio non è un orpello della trattativa, ne è l’ossatura”. Il concetto è chiaro ed è normale chiedersi come, in un’epoca di comunicazione “veloce” e spesso aggressiva quale sia la strada da seguire per negoziare in modo incisivo ma non manipolatorio. “Essere incisivi – conferma in proposito Carofiglio – non significa essere aggressivi, perché la vera efficacia sta nella chiarezza e nella capacità di far emergere un terreno comune. La persuasione autentica non usa trucchi, ma si fonda sulla coerenza e sulla percezione attiva dell’altro e per questo motivo negoziare senza manipolare vuol dire riconoscere l’altro come interlocutore, non come ostacolo. E questo, oggi, è un atto controcorrente”.
Se l’ascolto e le parole sono la base, una strategia dinamica e consapevole è altrettanto importante ed è su quest’ultimo fattore che si concentra il pensiero operativo di Michael Tsur, uno dei più autorevoli esperti di negoziazione a livello globale con oltre 30 anni di esperienza in questo ambito e più di 7.000 trattative gestite. L’obiettivo finale, questo uno dei principi alla base del metodo a cui ha dato vita (ed ampiamente utilizzato da governi e multinazionali), è il raggiungimento di soluzioni condivise e durature. E per arrivarci serve seguire un percorso fatto di preparazione, domande e attenzione nei confronti dell’interlocutore, con il quale instaurare quel rapporto di fiducia e rispetto alla base di qualsiasi processo di negoziazione che vuole soddisfare i bisogni di entrambe le parti. Ma se queste soluzioni e le annesse alternative sembrano mancare, come si costruisce un margine di manovra che permette di sopperire a tali mancanze? Il metodo – ha raccontato Tsur al Sole24Ore – si concentra sulla relazione, iniziando dal momento in cui questa si instaura, e poi mantenendola e monitorandola. E questo perché dobbiamo stabilire una comunicazione costruttiva per creare fiducia, e da lì, motivazione per andare avanti e diventare creativi. La negoziazione avviene nella mente del nostro interlocutore seduto al tavolo della trattativa e siamo curiosi di comprendere come e cosa pensa, partendo dal presupposto che un’alternativa c’è sempre, anche se non necessariamente valida”.
Fonte: Il Sole 24 Ore