
Gli individui a confronto di Mohamed Bourouissa
Se è vero che in ogni società individualista occidentale l’identità personale si basa soprattutto sull’autorealizzazione, non bisogna sottovalutare l’eventualità che la stessa, se portata all’estremo, rischia di indebolire il senso di appartenenza alla comunità e alle reti di sostegno collettivo. Un esempio è dato dai social media che quotidianamente attraggono, respingono e riflettono il continuo desiderio di chi non ha, di chi non può avere e a cercare di più. Tutto sta a capire come un singolo individuo sia chiamato – ed eventualmente riesca – a svolgere alcuni ruoli nella stessa società, ma soprattutto non bisogna mai dimenticare che ogni individuo è chiamato a farlo in quanto singola persona che deve essere rispettata, considerata, ascoltata e amata nelle sue molteplici forme.
Mohamed Bourouissa
A spiegare questo concetto con i suoi lavori è riuscito sempre molto bene Mohamed Bourouissa, artista algerino poco più che quarantenne che da vent’anni fa una ricerca precisa sulla civiltà contemporanea e su chi la vive nella sua unicità e molteplicità. Il risultato è uno spaccato in cui l’individualismo stesso va ad intrecciarsi con i legami personali e questi ultimi con un tessuto sociale che al contrario, finirebbero col distruggerlo, considerando anche altri temi e soggetti a lui molto cari come la città e la migrazione, la messa in scena e il conflitto.
Bourouissa, nato a Bilda, ma con casa e studio a Gennevilliers, “ama esplorare le ostilità latenti, i rapporti di potere e i meccanismi di rappresentazione e autorappresentazione che definiscono le comunità emarginate o sottorappresentate”, ci ha spiegato Francesco Zanot, curatore della nuova mostra a lui dedicata fino al 28 settembre prossimo al MAST di Bologna, l’istituzione culturale internazionale e filantropica basata sulla Tecnologia, l’Arte e l’Innovazione, nata a Bologna nel 2013 grazie alla intuizione e capacità di Isabella Seràgnoli e alla sua fondazione.
Identità individuali
Il titolo, “Communautès” ci ricorda che il concetto stesso di identità individuale “è una costruzione sociale”, come disse Charles Taylor, e che quindi l’individuo non sviluppa la propria identità in isolamento, ma all’interno di un contesto sociale e culturale preciso. Le persone, dunque, definiscono chi sono sulla base delle proprie preferenze personali, ma soprattutto in relazione ai valori, alle tradizioni, alle aspettative, alle pratiche e ai modelli di vita considerati importanti o necessari dalla società.
Quelle che Bourouissa documenta nella serie “Horse Day” (2013-2019), realizzate in un sobborgo di Philadelphia, vanno a decostruire l’immaginario del cowboy accostando la pratica di vestire e abbellire i cavalli con quella di modificare auto e pick-up. In “Périphérique” (2005-2008), invece – la serie realizzata dopo le rivolte nelle banlieues francesi – sono gli abitanti di quei posti dove ci sono spesso situazioni di tensione e pericolo, foto che nel mescolare i codici della tradizione pittorica con quelli della fotografia documentaria, creano un unicum di corpi che si toccano e di sguardi che si intrecciano, proprio come quelli delle persone sorprese a rubare qualcosa in un supermercato o in un negozio raccontate in “Shopfilters” (2014), un modo, per l’artista, di denunciare la miseria consumistica della società. Si intitola invece “Hands” (2025) il suo progetto più recente, presentato in esclusiva proprio alla Fondazione MAST , ristampate su plexiglas e appoggiate sullo sfondo di una griglia metallica. Opere “che si guardano e che ci riguardano”, precisa Zanot, attraverso gli occhi e la mediazione di coloro che le popolano.
Fonte: Il Sole 24 Ore