Green a confronto, i rendiconti italiani sono i più prolissi della Ue

Green a confronto, i rendiconti italiani sono i più prolissi della Ue

Oltre 140 pagine contro una media europea di 111. Le nuove dichiarazioni di sostenibilità delle aziende quotate italiane sono le più lunghe d’Europa. Emerge dallo studio realizzato dall’Osservatorio sui report dei nuovi rendiconti conformi alla normativa Ue Csrd e redatti con i nuovi principi di rendicontazione (Esrs). La struttura di monitoraggio è stata istituita dalla Venice School of management dell’università Ca’ Foscari e da Bdo Italia. L’Osservatorio ha analizzato in particolare i rendiconti green di 131 società italiane quotate a Milano e di 159 società europee incluse nello Stoxx Europe 600: in particolare, queste aziende hanno sede in Paesi Ue che hanno già recepito la direttiva Csrd e sono Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Polonia e Svezia.

Lunghezza e deroghe

Dichiarazioni di sostenibilità troppo lunghe allora. Conseguenza? «La grande mole di dati rischia di compromettere l’efficacia dei report – viene spiegato nel report dell’Osservatorio –, rendendoli meno focalizzati, ridondanti e dispersivi, avallando gli attuali tentativi di semplificazione degli Esrs». Una maggior sintesi sarebbe dunque auspicabile. Dai ricercatori viene segnalato poi l’ampio utilizzo delle deroghe concesse dalla legislazione nell’attuale fase transitoria. «In media – si legge nel documento –, sono stati omessi 5 requisiti informativi, con tassi di omissione prossimi al 100% per le informative relative agli effetti finanziari attesi dai rischi di sostenibilità». Inoltre, a parte qualche eccezione, poche aziende «hanno fornito una quantificazione degli effetti finanziari attesi dai rischi e dalle opportunità connessi alla sostenibilità».

Lavoro, clima e ritardi italiani

Due gli elementi più evidenziati nelle dichiarazioni di sostenibilità ovvero le indicazioni sui dipendenti e sul cambiamento climatico. Nel primo caso, vengono segnalate soprattutto le condizioni lavorative e le pari opportunità. Sul versante clima c’è ampio spazio per i concetti di mitigazione e adattamento e sull’uso dell’energia. Nonostante la consapevolezza sul climate change, «gli sforzi di mitigazione sono limitati, soprattutto per le società italiane», viene spiegato. «Soltanto il 24% ha dichiarato la formale adozione di un piano di transizione climatica, a fronte del 76% delle società europee – si legge –. Anche nella definizione degli obiettivi climatici l’Italia appare più indietro rispetto alle controparti europee: solo il 7% delle italiane ha un obiettivo Net-Zero validato dalla Science Based Target Initiative (a fronte del 27% delle europee)». Infine, appena il 19% delle italiane monitorate, ha ottenuto la validazione degli obiettivi di breve termine contro il 69% delle europee.

Darsi una mossa

Al netto delle correnti Usa anti green, c’è bisogno di muoversi in modo più veloce sul versante italiano. Benché la mole di norme Ue e la grande confusione sul tema a Bruxelles, aiuti poco le aziende. «Con questa ricerca vogliamo fornire un apporto rilevante non solo alle imprese e ai loro stakeholder, ma anche a standard setter e policymaker, impegnati a rendere le norme più chiare», ha affermato Chiara Mio, direttrice del Sustainability Lab della Venice School of Management. «La domanda da farsi per un’impresa – commenta Valeria Fazio, partner Sustainable Innovation Bdo Italia – è quanto sia giusto approcciare la Csrd come un mero esercizio di compliance o investire nella sostenibilità quale strumento per interpretare i cambiamenti del contesto esterno e tradurli in innovazione».

Fonte: Il Sole 24 Ore