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guida alla trasformazione culturale nelle aziende
Scarsità di lavoratori qualificati, “Big Quit”, sindrome “YOLO” (You Only Live Once, cioè vita personale messa al primo posto) sono sfide che, insieme a molti altri fenomeni, stanno radicalmente trasformando il mercato del lavoro. Sempre più professionisti rifiutano ambienti gerarchici, poco flessibili e culturalmente rigidi. Gallup segnala che nel 2024 oltre l’85 % dei lavoratori è “non engaged”, ovvero non coinvolto all’interno della propria organizzazione, il dato peggiore dal 2009. Mentre per Forbes nel 2022 una cultura aziendale tossica è la prima causa di dimissioni nel 62% dei casi. Numeri enormi per problemi profondi, che trascendono stipendi e benefit e coinvolgono la ricerca di un senso della propria vita, anche attraverso un posto di lavoro. Le imprese capaci di rispondere a queste esigenze con modelli organizzativi evoluti, basati su fiducia, trasparenza e collaborazione, diventano magneti per i talenti. In questo scenario, “l’agilità organizzativa” (e la cultura che la sostiene) non sono un trend da seguire, ma una leva strategica da governare.
Dall’etichetta alla sostanza: dal “fare Agile” ad “essere Agile”
In molte organizzazioni si assiste spesso a una corsa all’adozione dell’Agile. Si introducono cerimonie, ruoli e strumenti propri dei framework agili: come lo Sprint (un’iterazione a tempo fisso in Scrum), il Daily Stand-up (una breve riunione quotidiana del team), o Kanban (Sistema per visualizzare e ottimizzare il flusso di lavoro). Tuttavia l’adozione di metodi e pratiche agili, se non accompagnata da un cambiamento culturale profondo e sistemico, rischia di diventare solo un’operazione di facciata. È il fenomeno noto come Agile Washing: ci si appropria del lessico e (in modo superficiale) dei rituali dell’Agile, ma si continua a ragionare e decidere secondo logiche tradizionali, gerarchiche, a volte persino micro-manageriali. Il risultato? “Fare” Nuovi rituali vuoti, soffocati da vecchi pensieri, che compromettono tanto l’efficacia del lavoro, quanto la credibilità dell’organizzazione agli occhi dei collaboratori. “Essere” agile, significa – tra le altre cose – abbandonare la logica del controllo dall’alto, per abbracciare quella della responsabilizzazione diffusa, della fiducia nei team, dell’apprendimento continuo. Le organizzazioni agili sono per definizione orientate al cambiamento, alla sperimentazione e alla co-creazione. Si tratta, per esempio, di organizzazioni che non subiscono gli impatti della tecnologia, ma li dominano con adozioni rapide, consapevoli e responsabilizzate. Basti pensare ad un tema attuale come l’integrazione dell’AI nei processi aziendali. Per un cambiamento culturale di questo tipo, intangibile ma potente, serve coinvolgere tutta l’organizzazione, con interpreti autentici che vadano oltre i manager “illuminati”. Servono figure capaci di accompagnare ogni membro dell’azienda e sostenere la trasformazione.
Agile Coach: l’architetto del cambiamento sistemico
L’Agile Coach è una figura chiave per guidare la trasformazione in profondità. A differenza dello Scrum Master, focalizzato sul supporto e l’efficientamento operativo dei team, l’Agile Coach lavora a livello sistemico. Interviene sulla leadership, sui processi HR, sulla cultura aziendale. È un’insegnante, un allenatore, un facilitatore e un mentore, un ponte tra strategia e operatività che guida con l’esempio. Lavora per rimuovere gli ostacoli culturali e strutturali al cambiamento, aiutando l’organizzazione a evolvere in modo virtuoso e sostenibile. In piena sinergia con altri ruoli, contribuisce a costruire ecosistemi aziendali in cui le persone possono dare il meglio di sé.
Leadership agile: dall’autorità all’empowerment
Nel paradigma agile, la leadership non si fonda su comando e controllo, ma sull’esempio e sull’empowerment delle persone. La Servant Leadership, ovvero guidare mettendosi a servizio del team, o la Human-Oriented Leadership, che pone al centro il benessere e la motivazione delle persone. Sono modelli di leadership generativa che valorizzano la diversità di pensiero, stimolano l’innovazione e favoriscono l’engagement che si traduce nell’ incoraggiare e premiare la partecipazione proattiva dal basso e senso di appartenenza, per i talenti interni e attrattiva per gli esterni.
Cultura agile: motore dell’attrattività aziendale
Secondo McKinsey, già nel 2021, le aziende che hanno concluso con successo una sistematica trasformazione Agile, registrano un miglioramento del coinvolgimento dei dipendenti del 20–30%, oltre una riduzione del turnover del personale del 25 %. La cultura agile, che non è un “nice to have” ma un asset strategico, è la base su cui costruire fiducia e senso di appartenenza. Fondamentali in questo senso sono concetti come la sicurezza psicologica (la libertà di esprimersi senza timore), la promozione di un approccio kaizen (miglioramento continuo), oltre un sapiente utilizzo dei feedback loop per dare il giusto valore all’opinione di tutti. In una cultura agile, le persone si sentono parte di qualcosa di significativo, questo le spinge a restare, a contribuire, a crescere insieme all’azienda. Loro sono l’azienda.
Fonte: Il Sole 24 Ore