I CCCP ripartono da Berlino

I CCCP riprendono da dove avevano smesso. E da dove, idealmente, avevano cominciato. Ripartono da Berlino (est), il loro chilometro zero, il fundamentalpunkt di un’epica che mescola Appennino e Keutzberg, baffi a manubrio e creste, cemento e letame. Un’antologia di storie e personaggi colmi di tracotanza e umiltà, come nei romanzi del verismo emiliano di Guido Cavani. La loro storia comincia idealmente nel 1981 all’ombra del Muro (Die Mauer) e quell’epifania è stata mirabilmente raccontata nel romanzo di Zamboni Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino (Einaudi, 2017).

L’anteprima del tour estivo 2024 si è conclusa all’Astra Kulturhaus di Friedrichshain, a poche centinaia di metri dall’iconica Karl Marx Allee (ex Stalin Allee), grandioso esperimento urbanistico sovietico. “CCCP in DDDR” (nella DDR “demolita”) è stato un momento di autentica avanguardia, cabaret brechtiano in abito da concerto.

Non è stato – e non sarà – un Amarcord. Come non lo sono state la mostra Felicitazioni! CCCP-Fedeli alla Linea 1984–2024”, l’album omonimo e “Altro Che Nuovo”, il primo live del 3 giugno ‘83 (inedito) uscito in questi giorni. I CCCP sono i Wagner del punk, la loro è gesamtkunstwerk, opera d’arte totale e multidisciplinare perché, al netto della strepitosa qualità autoriale e musicale, G.L.F, Massimo Zamboni, Danilo Fatur e Annarella Giudici possono mandare un segnale affatto marginale (loro che marginali sempre resteranno) al nostro mondo, impoverito da suoni globali, da creators che non creano nulla, dall’algoritmo social che si accorgerà di loro quando saranno consumabili, in qualche modo.

Figli del loro tempo e del loro spazio

Hanno avuto fortuna, i CCCP, sono figli del loro tempo e del loro spazio. Perché il punk – che senz’anima diventa il suo esatto opposto, fashion ad uso del circo mainstream – va cucinato in provincia e poi servito nelle metropoli globali.

Fonte: Il Sole 24 Ore