I diritti Lgbtq+ sotto attacco

I diritti Lgbtq+ sotto attacco

Il prossimo 17 luglio negli Stati Uniti chiuderà il servizio dedicato ai giovani della comunità Lgbtq+ all’interno delle iniziative della linea nazionale di emergenza per la prevenzione del suicidio, nota come 988 Suicide & Crisis Lifeline. Lo ha reso noto nel mese di giugno, il mese del Pride, la Substance Abuse and Mental Health Services Administration, l’agenzia federale per la salute mentale e l’abuso di sostanze. Una nuova mossa dell’amministrazione Trump, che aveva chiarito la propria politica con uno dei primi ordini esecutivi firmati dal neopresidente con il quale si riconoscevano solo due generi: uomo e donna. Come conseguenza in febbraio gli Usa erano anche usciti dal gruppo dei Paesi delle Nazioni Unite che sostengono i diritti Lgbtq+.

Si è trattato solo di una delle ultime decisioni politiche a livello globale che nell’ultimo anno hanno colpito la comunità rainbow in Paesi in cui storicamente i diritti delle persone Lgbtq+ venivano rispettati. La mappa disegnata ogni anno da Ilga, l’associazione internazionale lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersex, fotografa una situazione in peggioramento rispetto all’anno precedente: sono saliti a 64 da 60 gli Stati delle Nazioni Unite dove essere gay è un crimine. In sette di questi è prevista la pena di morte per atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso. Inoltre in almeno 61 Stati vi sono leggi, normative e regolamenti che limitano la libertà di espressione relativa alle questioni relative alla diversità sessuale e di genere e in altrettanti ci sono ostacoli legali alla libertà di associazione quando registrano e gestiscono organizzazioni che sostengono apertamente i diritti delle persone Lgbtq+.

Nel corso del 2024, poi, le misure contro l’omosessualità si sono inasprite come ad esempio in Mali, dove il nuovo codice penale punisce gli atti consenzienti tra adulti dello stesso sesso; in Burkina Faso, dove un emendamento del “codice familiare” ha reso illegale l’omosessualità; in Uganda, dove una nuova legge prevede l’incarcerazione per chi si identifica come gay.

In Europa si vivono grandi contraddizioni. Da situazioni di parità quasi totale, come nei Paesi Bassi o a Malta, si passa a Paesi in cui si tenta una continua e costante riduzioni dei diritti della comunità Lgbtq+, come avviene in Ungheria che, dopo la legge del 2021 che vieta nelle scuole la diffusione di informazioni e pubblicazioni sull’omosessualità o sul cambio di sesso, è stata approvata in primavera una legge che mette al bando il pride. Contro quest’ultima iniziativa del governo guidato da Viktor Orbán si sono mossi venti Paesi dell’Unione Europea, che hanno sottoscritto una dichiarazione proposta dai Paesi Bassi in cui si condanna aspramente la regressione democratica del governo di Budapest nei confronti della comunità Lgbtq+. Sul documento è mancata la firma di Bulgaria, Croazia, Romania, Slovacchia, Polonia e Italia.

Fonte: Il Sole 24 Ore