Ifigenia attraversa tre vite e diventa una donna di oggi

Ifigenia attraversa tre vite e diventa una donna di oggi

Il cuore e la ragione, l’etica e la politica. Dicotomie insanabili, oggi, come all’ombra del Partenone o tra le pieghe del mito che, in certi suoi volti, è contemporaneo. Come dimostra il nuovo libro di Francesca Ghedini, Ifigenia. Le tre vite di una donna diventata mito, «la storia delle emozioni di una fanciulla che si avvia verso la maturità, della ribellione di un’adulta che vede sfumare i propri sogni, della rassegnazione di una donna che alla fine della vita trova finalmente la pace». Insomma, è la fotografia di tante donne di oggi, a ogni latitudine. E il fascino di quest’opera è il suo hic et nunc, radicato nell’antico e nella modernità.

Ghedini, professoressa emerita di Archeologica classica all’Università di Padova, ha alle spalle importanti saggi sulle figure femminili antiche, lette attraverso l’iconografia delle ceramiche o gli affreschi di Pompei o le fonti letterarie in un caleidoscopio di rimandi e suggestioni. Era stato così per Maledette. Le donne del mito, lo studio su Circe, Pasifae, Arianna, Fedra e Medea. Ed è così per la storia di Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, che mostra l’altezza della tradizione greca e insieme la ferocia di quel mondo. Non è tutto oro quel che luccica, a differenza di quanto spesso pensiamo, ingannati dalla bellezza delle linee e dall’equilibrio del pensiero: «Se da un lato, la cultura greca, delle cui conquiste nella filosofia e nella storiografia, nella scienza e nell’arte siamo ancora debitori, può essere considerata una delle espressioni più alte della storia dell’Occidente, dall’altro mostra una struttura sociale chiusa e ottusa, dominata da un’élite maschile, che teneva donne, minoranze e stranieri in una posizione di emarginazione e subalternità per noi inaccettabili. Ne è prova il fatto che quella cultura maschilista e patriarcale riusciva a condizionare il pensiero femminile al punto che Ifigenia non solo accetta l’assurdo tributo di sangue, ma ne condivide le regole: “Del resto, non devo nemmeno amarla troppo questa mia vita. Tu mi hai generata non per te solo ma per la Grecia tutta”, dice al padre mentre si reca al martirio. E poi rincara: “La vita di un solo uomo vale quella di mille donne”».

Agamennone, signore di popoli, è il condottiero della spedizione greca a Troia ma il responso divino è senza appello: «Non salperanno le navi dalla costa se Artemide non avrà ottenuto tua figlia Ifigenia come vittima immolata». È il primo inaccettabile bivio della vita, come fa un padre a sacrificare la propria figlia? E anche le fonti antiche non sono univoche nell’antitesi akousa/ekousa, cioè di una Ifigenia riluttante/consenziente. La akousa, la ribelle, è tratteggiata nell’Agamennone di Eschilo; la nobile figura dell’eroina consenziente (ekousa) nasce con Euripide nell’Ifigenia in Aulide. Il colpo di spada si abbatte sulla giovane, ma a terra giace una cerva. È il prodigio che salva Ifigenia, destinata però ai confini del mondo, lontana da Micene.

Nel paese dei Tauri, la donna capisce quel che l’aspetta. Strappata alla sua terra, al matrimonio, ai sogni diventa custode del tempio di Artemide, la dea spietata responsabile e garante di sacrifici umani. Il dolore lascia posto all’accettazione del destino: quante donne come Ifigenia? La sacerdotessa è sola, con i suoi pensieri, i ricordi, immersi in pagine cariche di profumi e fruscii, sguardi e drammi, che danno al mito i tratti del romanzo. Francesca Ghedini costruisce un incastro ad orologeria perfetto fra arte e sentimenti perché la carica narrativa di affreschi e sculture diventa anche la cifra del racconto.

La madre Clitennestra si è vendicata del marito Agamennone e l’ha ucciso, il figlio Oreste ha ucciso la madre. Il sangue scorre a fiumi, è vendetta dopo vendetta. Intanto, Ifigenia pensa proprio all’amato fratello Oreste che ritrova sotto le vesti di un prigioniero e noi lo ritroviamo in tanta arte, come nell’affresco dalla Casa di Cecilio Giocondo di Pompei.

Fonte: Il Sole 24 Ore