
Il business delle auto rubate porta negli Emirati Arabi: arresti tra Italia, Spagna e Belgio. Il riciclaggio con le criptovalute
Rubate in Europa, ripulite nei garage dell’ombra, rivendute come legali nei mercati degli Emirati Arabi Uniti: è questo — secondo l’accusa — il motivo degli arresti nell’operazione “Palma”. La Procura di Reggio Emilia, con il Nucleo investigativo dei carabinieri e il Nucleo antifalsificazione monetaria dell’Arma, contesta a 14 indagati l’appartenenza a un’associazione criminale transnazionale specializzata in furti di auto di lusso e riciclaggio documentale, anche utilizzando criptovalute, per mascherarne l’identità e spedirle fuori Ue.
Il cuore dell’accusa: perché scattano le misure
Non episodi isolati, ma un circuito stabile: selezione di modelli richiesti (Suv e supercar), sottrazione rapida con tecniche elettroniche, falsi documenti e intestazioni fittizie per “lavare” telaio e storia, quindi export verso hub esteri. È la struttura organizzata e transfrontaliera — questo il punto che regge le misure cautelari — a trasformare i furti in impresa criminale con giro d’affari milionario.
Cooperazione UE e canali dell’export
L’inchiesta nasce a Reggio Emilia e si muove tra Italia, Spagna e Belgio, in coordinamento con Guardia Civil – Uco e Polizia Federale Belga, supportate da Europol ed Eurojust. La cooperazione giudiziaria è parte della prova del carattere transnazionale: senza scambi informativi e atti simultanei, la filiera furto–riciclaggio–esportazione non si spezza.
Capi di imputazione ipotizzati
Al centro il reato di associazione per delinquere transnazionale, con furto aggravato e riciclaggio-autoriciclaggio. A corredo, i falsi documentali necessari a far sembrare “pulite” auto nate rubate. Le misure puntano a congelare ruoli, canali, denaro e fermare il flusso di supercar dirette ai mercati extra-Ue.
Fonte: Il Sole 24 Ore