Il cervello si rigenera anche da adulti: scoperto un “serbatoio” di nuovi neuroni

Il cervello si rigenera anche da adulti: scoperto un “serbatoio” di nuovi neuroni

Per decenni si è dato per scontato che, una volta raggiunta l’età adulta, il cervello umano non potesse più produrre nuovi neuroni. Ora, un team del Karolinska Institutet guidato da Jonas Frisén sfida questo dogma con dati solidi. Grazie al sequenziamento dell’Rna a singolo nucleo e un algoritmo di intelligenza artificiale, i ricercatori hanno dimostrato che nell’ippocampo esistono cellule progenitrici e neuroni immaturi dalla prima infanzia fino ai 78 anni di età. La scoperta, pubblicata su Science, apre nuove piste per la comprensione della memoria, dell’umore e delle potenziali terapie rigenerative nelle malattie neurodegenerative e psichiatriche.

Questa nuova crescita neuronale, anche chiamata neurogenesi, avviene nel giro dentato dell’ippocampo, una parte fondamentale del cervello coinvolta nell’apprendimento, nella memoria e nelle emozioni. È qui che le informazioni in arrivo dalla corteccia vengono elaborate, trasformate in tracce mnemoniche.

Demolire un dogma decennale

A partire dagli anni ’60, tuttavia, un crescente numero di studi su modelli animali ha dimostrato non solo che nell’adulto l’ippocampo continua a generare nuovi neuroni, ma anche che queste cellule appena nate si integrano attivamente nei circuiti esistenti, influenzando memoria, apprendimento e regolazione emotiva. Negli esseri umani, questo dogma è stato più difficile da scalfire, perché prove contraddittorie hanno alimentato una controversia decennale sull’esistenza e sulle modalità di formazione di nuovi neuroni nel cervello umano adulto.

Le differenze tra gli studi sull’uomo nascono essenzialmente da tre variabili tecniche: il tempo che intercorre tra la morte e la conservazione del tessuto può alterarne la struttura; i marcatori molecolari usati per marcare le cellule non sono sempre gli stessi e si legano con efficienze diverse; e i metodi per estrarre l’Rna, che ci rivela quali geni sono attivi, hanno sensibilità variabile, per cui alcuni protocolli rilevano molti più segnali di altri. Queste divergenze possono farci perdere di vista le cellule progenitrici, molto rare, o confonderle con le più comuni cellule di supporto del cervello, portando così a risultati apparentemente contraddittori.

Fonte: Il Sole 24 Ore