Il cibo etnico conquista la tavola e anche l’industria italiana

Pizza e kebab: il brano di Ghali è datato 2017 ma potrebbe essere stato scritto oggi. Perché, benché la margherita resti nel cuore degli italiani, è sempre più spesso affiancata da ricette tipiche di altre culture gastronomiche. Come i nuggets, che hanno conquistato il 72% degli italiani, o come il kebab (71%) e il sushi (66%). A rilevarlo è una ricerca di Amagi-Norstat, da cui emerge che il 41% dei 28-45enni vorrebbe trovare al supermercato una maggiore scelta di alimenti etnici contro il 10% che preferirebbe più prodotti regionali italiani.

Etnico più forte del made in Italy?

Una polarizzazione tra global e local che si riflette anche nei dati di vendita: il paniere dei prodotti tipici italiani soffre, quello etnico vola. Nel 2023, secondo NielsenIQ, solo nella distribuzione moderna ha raggiunto i 600 milioni di euro (+7% sul 2022) ed è scampato al taglio degli acquisti in volume (+5%), superando le 76mila tonnellate. L’anno scorso nei carrelli della spesa degli italiani sono finiti oltre 231 milioni di confezioni di prodotti etnici contro i 216 milioni del 2022.

Noodles e chips, sushi campione, ma unico in calo

Quel 45% di famiglie che acquista prodotti etnici in Gdo trova una scelta sempre più ampia (oltre 27 referenze di media). In quantità il più venduto è il riso basmati (25mila tonnellate) mentre a valore il sushi è insuperabile (150 milioni di euro) ma è l’unico prodotto etnico ad aver perso vendite nel 2023 (-16% circa), anche per effetto del ritorno ai consumi fuoricasa. Ad avanzare, invece, sono stati soprattutto i noodles (+20% in quantità), il cous cous (+11%), la paella (+9%) e le chips messicane (+8,5%).

L’apertura degli italiani per i prodotti alimentari stranieri sta cambiando i connotati del mercato. Storicamente distributori e retailer si sono affidati alle importazioni, ma da qualche tempo anche piccole e grandi aziende italiane si sono focalizzate su questo business ed è aumentata la produzione realizzata nel nostro paese.

«Da un lato c’è un effetto osmotico, per cui l’apporto etnico viene incorporato nei prodotti nazionali, così com’è sempre avvenuto – spiega Daniele Tirelli, docente di innovazione di prodotto alla Iulm – E dall’altro, anche grazie ai viaggi all’estero, c’è una maggiore conoscenza dei prodotti esotici che li rende accettati e popolari. Un’esterofilia che cresce ma di cui poco si parla nel mondo del food, dove tengono banco i temi del nazionalismo alimentare».

Fonte: Il Sole 24 Ore