Il commercio moderno prevede una frenata dei consumi per fine anno

Il commercio moderno prevede una frenata dei consumi per fine anno

Consumi in frenata per fine anno. Questa la previsione che arriva dal Retailer barometer realizzato da Confimprese e Jakala che per il prossimo trimestre ritocca al ribasso quanto anticipato a inizio 2025: dal +1,7% delle previsioni fatte a inizio anno a uno zero per cento a parità di rete. In altre parole non c’è nessuna crescita nel retail e di conseguenza per i consumi delle famiglie italiane. A dirlo la base associativa Confimprese che rappresenta 500 brand, 100mila punti vendita con 1,2 milioni di addetti. Inoltre i retailer arrivano alla fine dell’anno, con novembre quasi monopolizzato dal Black friday, e un dicembre che rappresenta quanto mai una incognita per gli incassi. Le realtà del commercio moderno hanno i conti economici sotto pressione a causa della marginalità che nel primo semestre 2025 ha avuto un impatto negativo per la metà delle aziende con punte dell’80% per il comparto abbigliamento-accessori, tra i settori più colpiti con una previsione di chiusura anno a -2,3%, segno di acquisti sempre più mordi e fuggi con l’occhio sempre attento al portafoglio e alle offerte promozionali. Il 2025 si prospetta non solo come un anno difficile per il comparto della moda ma anche la ristorazione, i consumi fuori casa, sono attesi con un -1% mentre solo altro retail, segmento che spazia dal casa-arredo, elettronica, telefonia, libri, cura persona e fitness si aspetta di chiudere al +1,8%. «Alla chiusura dei primi otto mesi 2025 – riflette Mario Maiocchi, direttore centro studi Confimprese – il trend appare ormai abbastanza consolidato. Nonostante l’inflazione sia sotto controllo, i consumatori mostrano un atteggiamento cauto, improntato al risparmio sugli acquisti discrezionali e alla prudenza in quelli di prima necessità. Cosa questa che frena i consumi e la possibilità di crescita. Volatilità e incertezza dominano il contesto economico e su questi fattori è necessario fare una riflessione per adottare misure, anche in sede istituzionale, che mirino a ripristinare il potere di spesa delle famiglie dopo l’erosione inflattiva degli scorsi anni».

 Del resto, anche il mese di agosto non ha raggiunto i risultati sperati con un trend di fatturato del +1% su agosto 2024 a fronte di un periodo gennaio-agosto 2025 in calo del -0,4% sul 2024 in tutti i settori – effetto dei risultati peggiorativi dei primi mesi dell’anno, da gennaio ad aprile –, in leggera risalita rispetto al -1,9% del primo semestre ma pur sempre in campo negativo. La morsa della crisi, insomma, non allenta le maglie e, contrariamente a quanto si possa pensare sul mese vacanziero per eccellenza, i consumatori si mostrano tiepidi e fanno solo acquisti ragionati, nonostante i saldi partiti in luglio.

Una decelerazione dei consumi che suona come un campanello d’allarme perché continua a calare il numero di scontrini, registrata specialmente nel settore abbigliamento e accessori, e non è stata sufficientemente compensata dall’aumento dello scontrino medio. Due terzi delle aziende del sistema Confimprese riscontrano ancora un andamento negativo del fatturato nel progressivo gennaio-agosto 2025 rispetto lo stesso periodo dello scorso anno. Certo c’è stato un aumento ponderato dei listini pari al +1,4%, che per l’abbigliamento-accessori del +2,1%, ma non abbastanza per riportare in crescita la marginalità, che ha avuto un impatto negativo per la metà delle aziende con punte dell’80% per il comparto abbigliamento-accessori. Al calo del numero di scontrini si associa anche la flessione del numero delle visite in negozio pari al -3,5% lamentata dal 59% dei retailer su tutto il territorio nazionale trainato dalle regioni del Nord-Est e del Centro, che mostrano valori al di sotto della media Italia. Si rileva, inoltre, che i consumatori sono sempre meno disposti a percorrere una distanza considerevole dalla propria abitazione al punto vendita fisico. Un’ultima nota riguarda due aspetti che incidono sui conti economici: i costi del personale giudicati in aumento dal 69% delle aziende, e i costi di struttura, tra cui affitti, costi di gestione a cui si aggiungono imposte e tasse, giudicati in aumento dal 71%. A risentirne maggiormente è il settore abbigliamento-accessori, in cui il 100% dei retailer dichiara un aumento dei costi di struttura. Alla luce di quanto sopra, si rende necessario riflettere sulle strategie distributive e sulla gestione dei punti vendita: aperture selettive, chiusure o rilocazioni, accompagnate da programmi mirati a stimolare traffico e conversione, migliorare l’esperienza in negozio e rendere l’offerta più in linea con le esigenze dei consumatori.

Fonte: Il Sole 24 Ore