Il coraggio di accelerare deve partire dai territori

Il coraggio di accelerare deve partire dai territori

Le città italiane si stanno lentamente trasformando. Grazie alle risorse del Pnrr si stanno realizzando interventi di recupero del patrimonio immobiliare pubblico, abbandonato da anni. Interventi per colmare il cronico deficit di depurazione e fermare le perdite nella rete di trasporto e distribuzione delle acque potabili. Iniziative per l’obiettivo delle “città spugna”, per adattarsi agli eventi meteo estremi, oppure le aree urbane a 30 km orari, per rendere più sicure le strade.

Sono in attività i cantieri per realizzare gli impianti industriali dell’economia circolare, e stanno nascendo nuovi parchi urbani, anche per diffondere quei rifugi climatici utili nelle prolungate ondate di calore estive.É un mosaico che si sta componendo, come emerge dal rapporto annuale di Ecosistema Urbano, ma sono ancora troppe le tessere mancanti. Serve un nuovo protagonismo degli amministratori locali che devono avere il coraggio di rompere gli schemi, affrontando qualche contestazione fisiologica per i cambiamenti innescati.

Serve anche una nuova consapevolezza nella cittadinanza, perché non ha alcun senso protestare per il taglio degli alberi (sostituiti in genere da un numero più numeroso di esemplari nella stessa città), se c’è da fare una nuova linea tramviaria per promuovere il trasporto pubblico a zero emissioni. Ovviamente c’è un problema di reperimento delle risorse economiche. Ai giustificati allarmi sulla fine del programma di finanziamento del Next Generation Eu non si è data ancora una risposta rassicurante.

Le città italiane devono mitigare le cause e adattarsi agli impatti della crisi climatica. È urgente approvare nuove norme per facilitare una rigenerazione urbana adeguata all’emergenza clima. Sarebbe un deterrente anche per il consumo di suolo che, ovviamente, non si è fermato dopo aver approvato il famigerato articolo 5 del Dl agricoltura, che ha vietato gli impianti fotovoltaici a terra (che usano il suolo ma non lo consumano, come fanno invece altri interventi urbanistici o infrastrutturali ancora oggi possibili per legge).

Fonte: Il Sole 24 Ore