Il cosmo inquietante di Rebecca Horn

Il cosmo inquietante di Rebecca Horn

Disegno, performance, video, film, installazioni e opere cinetiche. Macchine che intrecciano l’umano, l’animale e il meccanico fino a creare quello che Marcella Beccaria – curatrice della mostra Cutting Through the Past, fino al 21 settembre al Castello di Rivoli – definisce “un inquietante cosmo performativo, nel quale sono protagonisti stati quale desiderio, ossessione, speranza e paura.

Siamo dentro la Manica Lunga, il piano più alto del Museo d’Arte Contemporanea sito a mezz’ora d’auto dal centro di Torino. La protagonista Rebecca Horn (1944-2024), a cui è dedicata la mostra, non c’è fisicamente, ma la sua presenza – fatta di oggetti, immagini, colori, disegni, linee, musiche ed emozioni più disparate – continua a parlare (di e) per lei.

Cutting Through the Past

Cutting Through the Past – la prima retrospettiva a lei dedicata in un museo italiano e la prima grande esposizione dopo la sua recente scomparsa – “è un percorso attraverso oltre 50 anni di lavoro” – ci spiega la curatrice – “riconoscendo il valore di una ricerca quanto mai attuale, anticipatrice del contemporaneo pensiero multispecie e dei possibili nuovi comportamenti ed emozioni che derivano dall’interazione con le complesse e pervasive tecnologie con cui viviamo”.

Una volta dentro, ad attirare la nostra attenzione sulla sinistra è Pfauenmaschine (la macchina pavone), ideata dalla Horn per la sua partecipazione a documenta Kassel, nel 1982, poco distante dai Bodylandscapes, un gruppo di disegni rari del 1964 di grande formato, caratterizzati da una forma arrotondata e da cerchi, simboli del tempo inteso come entità ciclica e non lineare con frequenti allusioni ad una rigenerazione senza fine. Il titolo della mostra è anche quello di una delle sue installazioni più significative degli anni 1992-1993 con cinque porte di legno che ricreano un ambiente domestico dove un’appuntita asta metallica compie una rotazione, arrivando a toccare ciascuna delle porte e scavandone un’estremità con un gesto lieve, ma crudele, come un’arma appuntita che insiste sempre sulla stessa ferita.

Fonte: Il Sole 24 Ore