Il digitale taglia le distanze tra informazione, comunicazione e marketing

Il digitale taglia le distanze tra informazione, comunicazione e marketing

Nel mondo capovolto tra social media e intelligenza artificiale nulla è più come sembra. Così un lupo cattivo può trasformarsi in un mansueto agnellino, mentre tre porcellini vengono condannati e rinchiusi in prigione. La leggendaria storia di James Halliwell-Phillipps, rivisitata qualche tempo fa dal Guardian e premiata al Cannes Lion Award, racconta le difficoltà di decodificare il presente quando tutti compartecipano a scriverlo, raccontarlo, filmarlo, postarlo e oggi persino alterarlo. Nel video il payoff è sempre lo storico slogan del giornale, ma oggi “il quadro di insieme” viene necessariamente ripensato partendo dal ruolo attivo degli utenti. Emerge così una nuova era per il giornalismo, che viene declinato al plurale. «L’informazione sta vivendo una fase di radicale trasformazione, anche se la sua funzione sociale resta la stessa: la mediazione simbolico-culturale tra la realtà rappresentabile e il pubblico, l’indicazione delle priorità tematiche, l’interpretazione della complessità dell’era postmoderna. Il giornalismo va declinato al plurale poiché diversi ormai sono i linguaggi, i formati, i tempi, i modi, i mezzi di cui esso si serve nella quotidianità, spesso agendo in concorrenza con attori sociali che non appartengono all’ecosistema professionale ordinistico. Per questo, giocando linguisticamente, nel libro parlo di informazione senza giornalismo, ma anche di giornalismo senza informazione», afferma Francesco Giorgino, professore di comunicazione e marketing all’università Luiss, direttore del master in comunicazione e marketing politico e istituzionale e autore del libro “Sociologia dei giornalismi”, da poco in libreria per Mondadori Università.

Costruttori di notizie

È la rimediazione della notizia nel tempo esteso della rete che fa evolvere il concetto anglosassone di newsmaking. Così le organizzazioni pubbliche e private fanno propri i meccanismi di costruzione della notizia. «Nell’intento di implementare le occasioni di creazione e gestione del valore percepito delle organizzazioni sia pubbliche sia private, a maggior ragione nell’ambito dell’attuazione dei processi di brand management, va evidenziato come la sfera pubblica mediata sia il risultato di tre tipologie di media: paid, earned, owned. La prima fa riferimento soprattutto all’advertising. La seconda richiama le modalità tradizionali di rappresentazione altrui e fa leva sulla visibilità guadagnata grazie all’attenzione riservata ai soggetti capaci di finire al centro dell’attenzione dai media di informazione. La terza ruota intorno alla capacità delle organizzazioni di autorappresentarsi», precisa Giorgino.

Educare al digitale

«Gli studi sul giornalismo negli ultimi vent’anni si sono occupati di tre ambiti. Quello delle redazioni online analizzate in contrapposizione alle redazioni tradizionali dei media mainstream. Quello che coincide con la diffusione delle piattaforme social, circostanza che ha autorizzato molti studiosi ad occuparsi soprattutto di ecosistemi comunicativi anziché solo di testate e di ambiente giornalistico. E ancora quello relativo alle forme giornalistiche orientate quantitativamente, con particolare riferimento all’uso di dati e di algoritmi, ai meccanismi di indicizzazione dei contenuti per raggiungere la massima visibilità possibile sui motori di ricerca. L’intelligenza artificiale, specie quella generativa, non avrebbe potuto performare senza il processo di datificazione», argomenta Giorgino. In fondo nulla è come sembra con l’intelligenza artificiale generativa e la relativa moltiplicazione dei deepfake. Così orientarsi diventa un percorso ad ostacoli. «È aumentato quello che noi studiosi chiamiamo information disorder, espressione che sostituisce in ambito scientifico le celebri locuzioni di fake news e deepfake e che ha l’obiettivo di definire una serie di dinamiche legate all’inquinamento della sfera pubblica anche quando non si è in presenza di notizie totalmente false, ma verosimili. Il concetto di disordine informativo comprende la disinformation, ossia quando il contenuto falso viene diffuso per danneggiare qualcuno o qualcosa, la misinformation con la condivisione di contenuti falsi che avviene per il tramite di utenti inconsapevoli e ancora la malinformation: in questo caso le informazioni vere vengono condivise in modo falso con l’intento di creare conseguenze dannose sugli altri. Di fronte a questo scenario servono attività di fact checking, di debunking, ma anche di pre-bunking. Un ruolo molto significativo lo può svolgere l’educazione ai media digitali e l’educazione con i media digitali. È una sfida che deve vedere fianco a fianco tutte le agenzie educative e di socializzazione secondaria, in primis mondo della scuola e media», precisa Giorgino.

L’impatto della “mediamorfosi”

«Col digitale i valori della notizia sono quelli della flessibilità e dell’adattabilità del prodotto-notizia, ossia la capacità di adeguarsi alle variabili dei diversi formati multimediali. Un processo evolutivo che ha causato una vera e propria “mediamorfosi”, portando all’elaborazione di nuovi formati multimediali e alla progressiva sovrapposizione di tre settori industriali: l’editoria, l’informatica, il broadcasting. Negroponte aveva assegnato a questa sovrapposizione il nome di convergenza. E non aveva torto», dice Giorgino. Si alternano così vecchi e nuovi modelli di giornalismo. «Il valore-notizia che regola il citizen journalism è quello della partecipazione dal basso, ma anche del potere editoriale diffuso, appunto. È chiaro che in questo caso il giornalismo tradizionale si pone in concorrenza con la capacità degli utenti di generare nella sfera pubblica mediata contenuti che, sebbene non siano prodotti dall’organizzazione professionale giornalistica, fondata su competenze tematiche, espressive, relazionali, tecniche e deontologiche vengono percepiti come informazione. Raccontare la realtà di cui si ha esperienza diretta senza lasciare che siano altre forme di mediazione strutturate e professionalizzate a farlo e al contempo esprimere opinioni su un’attualità costruita scardinando i meccanismi di gerarchizzazione del giornalismo mainstream, sono due modi di declinare nel concreto la logica di questa partecipazione allargata. Partecipazione che in alcuni casi può cambiare la stessa idea di cittadinanza e in altri può diventare anche solo narcisismo digitale o egosurfing». In fondo sono cambiati i rapporti di forza tra tutti gli attori in campo. «Emerge la riduzione delle distanze tra informazione, comunicazione e marketing come approccio indispensabile a comprendere il contesto. Ecco perché ho elaborato il framework Mics, acronimo che sta per marketing, information, communication systems. Si scrive Mics ma si pronuncia mix, proprio per sottolineare il processo di contaminazione tra questi tre ambiti. La trasformazione digitale ci obbliga a individuare e governare i touch point esistenti tra la comunicazione, il marketing e l’informazione, specie se si accetta la sfida di cambiare prospettiva, ponendosi non tanto dal versante dei produttori di contenuti, quanto da quello di chi li fruisce», conclude Giorgino. In fondo nel tempo segnato dal potere editoriale diffuso e della co-creazione senza fine sugli stream social per le organizzazioni la sfida è comprendere i meccanismi in modo lucido, consapevole, responsabile.

Fonte: Il Sole 24 Ore