Il Gran Sasso e il futuro del gigante del Sud

Il Gran Sasso e il futuro del gigante del Sud

Dal Gran Sasso a Marte la via è breve. L’ha percorsa Vincenzo Cerulli grazie al suo occhio. Il 2 ottobre 1910, dall’osservatorio astronomico di Collurania, una collina poco fuori Teramo dalla quale si tocca il Gran Sasso con lo sguardo, scopre un asteroide battezzato Interamnia, il nome di Teramo in latino e, proprio per ricordare i suoi studi su Marte, all’astronomo abruzzese è dedicato il cratere Cerulli, che si trova sul Pianeta Rosso. Dopo la laurea in fisica a Roma e gli studi a Berlino, il ricercatore, poco più che trentenne, aveva acquistato una collina vicino a Teramo, cui dà il nome di Collurania (Colle del cielo), e crea un osservatorio astronomico con strumenti moderni per l’epoca. È l’inizio di una storia di scoperte che Stefano Ardito ripercorre nel grande atto d’amore dedicato al Gran Sasso. Il gigante del Sud. Pendii, alpinisti, viaggi, boscaioli, pastori: quella del Gran Sasso, scrive Ardito «è una vicenda poco conosciuta e avvincente, fatta di desideri e speranze, di vittorie, di drammi e in qualche caso di morte. Una storia che a volte si legge come un romanzo d’avventura, a volte costringe chi la racconta a stilare elenchi che rischiano di essere noiosi. Una storia che include exploit di livello assoluto e ascensioni avventurose ma più facili. Un racconto nel quale, come in tutte le storie, è necessario fare dei distinguo e dei confronti».

Tra le storie meno note, c’è di sicuro quella che ha visto la nascita dell’osservatorio astronomico. Cerulli lo fa costruire a sue spese verso il 1890-1891, salvo poi cederlo allo Stato nel 1917, oberato da mille impegni. Ma lassù, nell’aria tersa di Campo Imperatore, lo studio degli astri trova casa ancora: Giuseppe Armellini, l’astronomo che dirige l’Osservatorio romano di Monte Mario, pensa a «una succursale, situata a grande altezza», da adibire «ai lavori più delicati di astronomia siderale moderna». Si adopera, ma la guerra ostacola l’arrivo in Abruzzo del telescopio costruito dalla Zeiss e promesso da Hitler a Mussolini. L’osservazione delle stelle può aspettare davanti al dolore, alla fame, alla disperazione. Nel 1945, il progetto diventa realtà grazie al duca Vincenzo Rivera, che possiede vasti terreni sul Gran Sasso. L’uomo politico ha buoni agganci nella Dc e convince i funzionari Usa del Piano Marshall di mandare in Abruzzo una parte dei 14 miliardi di dollari stanziati dal governo di Washington per l’Italia. Così, nel 1948, nasce l’Osservatorio di Campo Imperatore. Tutto va a rilento ma il telescopio, di modello Schmidt, costruito dall’americana Penn Optical per le componenti ottiche e dall’italiana Marchiori per la struttura meccanica, viene completato nel 1958. Inizia la vita scientifica del Gran Sasso con lo studio delle Supernovae, della formazione delle stelle, delle emissioni di Raggi X e Gamma e della fotometria infrarossa delle galassie. E nel 2017, l’osservatorio di Teramo e la stazione osservativa di Campo Imperatore si uniscono in una nuova struttura: nasce così l’Inaf-Osservatorio Astronomico d’Abruzzo.

Il gigante del Sud è natura e scienza d’eccellenza: è meta di studiosi da ogni dove che lavorano ai Laboratori del Gran Sasso, composti da tre sale, scavate nella roccia e di dimensioni colossali. Ognuna misura 100 metri di lunghezza, 18 di larghezza e 18 di altezza. Includendo i tunnel e gli altri ambienti di servizio, il volume complessivo è di 180mila metri cubi. Le condizioni ambientali straordinarie rendono i Laboratori l’ambiente perfetto per studiare la fisica dei neutrini prodotti nel Sole e nelle esplosioni di Supernova, per la ricerca di particelle di materia oscura e per lo studio di reazioni nucleari di interesse astrofisico. Così, la montagna, conquistata da Francesco De Marchi, l’ingegnere bolognese che nel 1573 ha salito il Corno Grande, si proietta nel futuro.

I boschi, le piste, le scalate, gli alpinisti che hanno cercato gloria sulle sue pareti, i terremoti del 2009 e 2016 che ne hanno minato le certezze sono storia ma la grandezza del gigante del Sud è la sua sete di domani. Alla fine dell’inverno del 2022, il glaciologo Jacopo Gabrieli e alcuni colleghi misurano il ghiacciaio del Calderone e scoprono che lo spessore massimo del ghiaccio è di 26 metri. Pochi mesi dopo, gli studiosi, alla ricerca degli effetti del climate change, estraggono una «carota» da 45 quintali che viene tagliata in segmenti di un metro e portata a Venezia, per conservarla a 25 gradi sottozero. Ardito si appassiona a questo nuovo destino del Gran Sasso e racconta come in futuro, una parte di questo “tesoro bianco”, insieme al ghiaccio delle Alpi, del Kilimanjaro e dell’Himalaya, verrà trasferita in Antartide, nella base italo-francese di Concordia, a più di 3mila metri di quota. L’anima antica del Gran Sasso ha sete di futuro.

Stefano Ardito, Gran Sasso. Il gigante del Sud, Solferino Libri, pagg. 352, euro 20,50

Fonte: Il Sole 24 Ore