
Il grido di dolore di Munch a Palazzo Bonaparte
Una ragazza con i capelli raccolti, gli occhi grandi e chiari, l’abito scuro e una spilla che va a chiuderle la camicia sotto il collo. Così Edvard Munch (1863-1944) ritrasse sua sorella Laura nel 1882 dopo esserla andata a trovare diverse volte nell’ospedale psichiatrico di Kristiania dove era ricoverata da tempo. Insieme a sua zia Karen Bjølstad – che gli fece da madre quando rimase orfano a soli cinque anni, da lui ritratta su una sedia a dondolo l’anno successivo – ci viene mostrata nella sua immobilità, una maniera per cristallizzare ogni elemento della composizione e comunicare a suo modo il trauma interiore vissuto da quella ragazza scomparsa troppo presto, dando forma alla sua sensibilità danneggiata. Altre perdite (la morte del padre) e ad altri disastri sentimentali (la tormentata storia d’amore con Mathilde “Tulla” Larsen, “l’unica donna che abbia mai pensato di sposare”, dichiarò) caratterizzarono, se così si può dire, la vita di Munch, influenzandone umori e (dis)sapori, ma soprattutto la sua poetica che è fatta di sgomento, di visioni e di una violenza emotiva travolgente che come pochi riuscì a tradurre in immagini potenti, ricche di un’emotività diretta e soffocata, reiterate con l’intento ossessivo di riprodurre l’impressione di alcune scene incise nella sua memoria.
Roma, Palazzo Bonaparte
Nella sua lunga vita, l’artista norvegese ebbe sempre il desiderio di comunicare le proprie percezioni e il suo era un “grido interiore”, volendo citare il titolo della fortunata mostra che dopo esser stata al Palazzo Reale di Milano, arriva al Palazzo Bonaparte di Roma, da oggi fino al 2 giugno prossimo.
Quel grido accompagnerà Munch per tutta la vita e rappresenterà il cuore pulsante della sua pratica come artista, visto che le sue opere affrontano temi universali come la nascita, la morte, l’amore e il mistero esistenziale, le difficoltà psicologiche umane, l’instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali e il vuoto che ci lasciano le morti fino ad arrivare a quelle che cercano di immortalare le forze invisibili. L’Urlo (1893), come si sa, è la sua opera più conosciuta ed iconica. È stata resa celebre da Andy Warhol e oramai è riprodotta ovunque, dai calzini alle tazze, protagonista di film cult (Scream) e di un episodio dei Simpson, trasformata persino in una delle emoticon più usate ogni giorno da milioni di persone. Nella mostra romana quella originale e colorata non c’è, ma troverete una rara litografia che ben comunica l’orrore e la vulnerabilità di quel momento storico, tra linee e traiettorie “che enfatizzano la sensazione che il mondo sia stato rimodellato dalla psicologia interiore, oppure che l’urlo che attraversa la natura si manifesti nella forma di una forza psichica soverchiante”, ha spiegato Patricia G.Berman, grande conoscitrice dell’artista e curatrice di questa mostra che si avvale della collaborazione scientifica di Costantino D’Orazio. “Non dipingo la natura, ma la uso come ispirazione. Mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che ho visto”, diceva Munch, secondo il quale la mente individuale, le visioni interiori e il recupero cosciente dei ricordi potevano dare forma alla percezione diretta della realtà, fino a sostituirla. Spesso le sue opere sembrano dei drammi emotivi ambientati all’interno di scenografie teatrali (realizzò degli ‘schizzi emotivi’ per la messa in scena di Spettri di Ibsen che uno come lui non poteva non amare), e quel teatro continua anche nella vita vera, nel meraviglioso e coraggioso Circolo Bohémien di Kristiania, in una casa, in una camera da letto (splendidi davvero, in mostra, Gelosia e L’assassina) o all’aria aperta, ad esempio in spiaggia, come la serie di nudi maschili, da lui visti e poi realizzati nella spiaggia nudista di Warnemünde che frequentava assiduamente, come dimostra una grande foto in bianco e nero.
Prodotti esemplari come l’etica che era alla base di un lavoro fatto di tanti dipinti e stampe. Sono oltre cento i capolavori prestati dal Munch Museum di Oslo che ha realizzato questa mostra insieme ad Arthemisia. Opere in cui è chiara l’idea che la mente e la materia, le forze invisibili e il mondo materiale, potessero convergere. Per Munch – precursore dell’Espressionismo e del Futurismo del XX secolo – quell’ambiente fisico e quei corpi agiscono gli uni sugli altri, permettendo così alle energie invisibili di interagire con il mondo visibile in modo profondo, costruendo sempre scene in spazi costituiti da blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti dove ognuno – se vuole e se ci riesce – può trovare le proprie.
MUNCH – Il grido interiore, Roma, Palazzo Bonaparte – fino al 2 giugno 2025
Fonte: Il Sole 24 Ore