
Il «moderato ottimismo» di Meloni al ritorno dal G7 terremotato da Trump
Dal G7 in Canada, Giorgia Meloni riporta a casa un bagaglio di “moderato ottimismo”, espressione che in gergo diplomatico significa che le trattative sono in corso e nessuna però è ancora chiusa. E in questo momento il tema principale che ha dominato il G7 appena concluso tra i boschi dell’Alberta è la guerra tra Iran e Israele. Un summit “importante e complesso”, lo definisce la Premier non negando le diverse posizioni al tavolo, a partire da quelle Donald Trump e gli altri Grandi riuniti qui a Kananaskis.
Meloni parla senza troppa enfasi. Il tono è misurato quando risponde ai giornalisti a vertice concluso. Punta a smussare gli angoli la leader della Destra. Tutti concordano che Israele ha “il diritto di difendersi”, che l’Iran è “una minaccia reale”, dice citando la dichiarazione congiunta ottenuta dopo una serie di modifiche volute dagli Usa. Però «penso che sia possibile oggi uno scenario diverso in cui si arriva a delle negoziazioni e si arriva all’obiettivo che tutti condividiamo, che è la rinuncia da parte dell’Iran a essere una potenza nucleare» e contemporaneamente al «cessate il fuoco a Gaza» per cui l’Italia si continua a spendere e che è stato inserito nella dichiarazione finale sulla crisi mediorientale .
La chiave resta dunque il negoziato ma sul come e quando ci si arrivi nessuno è in grado di fare previsioni. E’ in questo senso che va letta – secondo la Premier – la dichiarazione del cancelliere tedesco Merz su Israele che «fa il lavoro sporco anche per noi». Molto dipenderà da quel che accadrà nelle prossime settimane. «Io ho sempre pensato che lo scenario migliore fosse quello di un oppresso popolo iraniano che riesce a rovesciare il regime. Dopodiché si deve fare il pane con la farina che si ha». Significa fare i conti con la realtà. Vale anche per l’eventuale uso delle basi Nato in Italia se gli Stati Uniti dovessero affiancare Israele. «Ora non possiamo dare una risposta», si limita a dire la Presidente del Consiglio.
Certo il ruolo di mediatore non può essere offerto a Putin, aggiunge prendendo le distanze da Trump che per primo lo aveva proposto: «Affidare a una nazione in guerra la mediazione su un’altra guerra non mi sembrerebbe proprio l’opzione migliore da prendere in considerazione. Ma non è un’opzione sul campo anche dalle parole che ho ascoltato personalmente in questi giorni».
Parole certamente apprezzate da Volodomyr Zelensky che ieri ha partecipato alla giornata conclusiva dei lavori ricavandone però ben poco. Anche perché è saltato l’obiettivo principale: il faccia a faccia con Trump nel frattempo volato a Washington. Fonti canadesi hanno riferito tra l’altro che proprio gli Usa avrebbero impedito una dichiarazione a sostegno dell’Ucraina. Meloni però smentisce. Ma quel che è certo è il nulla di fatto nei confronti di Kiev sul fronte delle sanzioni a Mosca e su un ulteriore impegno finanziato da parte dei Grandi, come avvenne in occasione del G7 presieduto dall’Italia . E non c’è dubbio che questa differenza, da un anno all’altro sia legata alle posizioni Usa. Del resto il Presidente americano è tornato a parlare di sanzioni ma solo per sottolineare che «costano molto agli americani».
Fonte: Il Sole 24 Ore