Il nuovo corso Ue: la circolarità è leva per sicurezza e competività

Il nuovo corso Ue: la circolarità è leva per sicurezza e competività

Un uso migliore e in generale più efficiente delle risorse – e soprattutto dei materiali riciclati – come cuscinetto per proteggere l’Europa da shock geopolitici e altri fattori che possano mettere a rischio la sicurezza degli Stati membri, delle imprese e dei cittadini. La legislatura Von der Leyen bis è cominciata a dicembre 2024 sotto il segno di una correzione della rotta green intrapresa (per alcuni, eccessivamente) nel 2019 con il Green Deal. Le priorità del quinquennio 2024-29, infatti, sono diverse: sviluppare un’Europa forte e sicura, ma soprattutto competitiva sul piano economico. Da qui la revisione delle normative europee di stampo ambientale, strumenti chiave del Green Deal, oggetto dei quattro provvedimenti Omnibus presentati fino a questo momento dalla Commissione (ma non ancora approvati dal Parlamento, che sta “studiando” l’Omnibus I e lo approverà, indicativamente, entro l’estate). E poi c’è stato il Clean Industrial Deal, piano che punta a trasformare la transizione green – i cui obiettivi primari, come il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 e il taglio delle emissioni del 55% (rispetto al 1990) entro il 2030, non sono cambiati affatto – in un motore di sviluppo economico.

La nuova narrativa sull’economia circolare

In questo contesto la circolarità, perno di alcune delle strategie adottate dalla Commissione dal 2019 in poi, è rimasta in primo piano: strutturare un meccanismo economico ad alta efficienza che utilizza e riutilizza le risorse senza sprecarle può rappresentare per l’Unione europea un risparmio significativo nello sfruttamento di risorse naturali limitate – come l’acqua, a cui la Commissione ha dedicato la Water resilience Strategy adottata il 4 giugno – ma anche di materiali rari o energy intensive come vetro, alluminio e plastica. Mettendo i 27 al sicuro da dipendenze “estere” potenzialmente destabilizzanti. Secondo esperti che lavorano nelle istituzioni europee quella di aumentare la competitività attraverso l’innovazione e la circolarità, e di fare diventare quest’ultima “mainstream”, potrebbe essere la sfida decisiva per l’Unione nei prossimi cinque o dieci anni. «Dopo oltre 50 anni di legislazione sui rifiuti, dopo due piani d’azione per l’economia circolare e il Green Deal europeo, siamo ben lontani da quella che potrebbe essere definita una transizione», ha esordito Jessika Roswall, commissaria per l’Ambiente, la resilienza idrica e l’economia circolare e competitiva (la prima ad avere questo riferimento nella carica), in apertura della Green Week 2025, dedicata alla circolarità, tenutasi a Bruxelles tra il 3 e il 5 giugno.

I fronti su cui agire per vincere la sfida

Che la sfida possa essere vinta o meno dipende dall’azione su una serie di fronti. Il primo è aumentare l’utilizzo di materie prime riciclate che, stando ai dati Eurostat relativi al 2023 è pari all’11,8% del totale. È la quota più alta di materie prime riciclate impiegate mai raggiunta nella Ue, ma è comunque troppo bassa: l’obiettivo è «raddoppiarla , arrivando al 24% entro il 2030», ha detto Roswall. Un traguardo ambizioso visto che la crescita tra il 2022 e il 2023 è stata dello 0,2 per cento. Per aumentare questa percentuale va fatto un lavoro in più ambiti. In primis, quello dei costi delle materie prime riciclate che risultano più alti rispetto a quelli delle materie prime vergini prodotte in Paesi extraeuropei. Nel caso del tessile, per esempio, il costo del prodotto riciclato è il triplo di quello vergine.

«Se i prezzi delle materie prime non riflettono l’impatto che esse hanno sul pianeta c’è un problema e bisogna partire da qui; i governi nazionali dovrebbero trasferire le tasse dal lavoro ai materiali – ha precisato Heather Grabbe, senior fellow presso il think tank Bruegel durante la già citata Green Week –. Gli europei attualmente consumano tre volte di più rispetto a un africano “medio” e da un lato estraiamo troppo, andando oltre le capacità del pianeta, dall’altro abbiamo sviluppato una massiccia dipendenza dalle importazioni di materie prime. Si tratta di sicurezza economica e non di autarchia».

Fonte: Il Sole 24 Ore