Il nylon risorge dalle reti abbandonate in mare

Due reti fisse, una da una quarantina di metri e una lunga più o meno la metà, una mezza dozzina di nasse o trappole per crostacei, una gabbia e un’ancora arrugginita, ammassi di resti di reti ormai irriconoscibili e tre copertoni: è questa la pesca, decisamente ricca ma non secondo i criteri tradizionali, di una decina di sommozzatori impegnati in una sessione pomeridiana di pulizia dei fondali a più di venti metri di profondità lungo la costa istriana non lontano dal porto turistico di Pola.

A bordo delle due barche di assistenza un’altra decina di volontari di Healthy Seas, giunti da tutto il mondo per celebrare il decennale di questa organizzazione non profit, ora evoluta in fondazione, che si incarica di ripulire i mari dalle reti strappate e abbandonate sui fondali marini. Sono state più di 900 le tonnellate di rifiuti di questo genere raccolte in questi dieci anni, il traguardo dei mille è ormai a portata di mano. Ma il valore dell’azione di questa pattuglia di attivisti va oltre quella montagna di materiali recuperati.

Da 15 attivisti a 350 volontari

«L’immaginazione è senza confini», afferma Veronika Mikos, direttrice di Healthy Seas, mostrando i suoi appunti sulla prima pagina di quel quaderno dove nel 2013 aveva appuntato la scintilla di quell’entusiasmo che aveva spinto quindici attivisti giunti da tre Paesi – Italia, Grecia e Olanda – proprio a Pola a porre le basi dell’associazione: oggi i volontari sono diventati 350 da venti Paesi e la attività sono decuplicate a oltre duecento in tutto il mondo.

Il riciclo nell’industria dell’abbigliamento con Aquafil

Dal Mediterraneo le azioni di “clean-up” dei fondali si è allargata al Nord Europa, poi all’Asia, dalla Corea alla Nuova Zelanda, e per ultimo alla costa californiana. Il “clean-up” è solo il primo e più concreto pilastro dell’attività di Healthy Seas, mirato poi al riciclo del nylon e di tutti i materiali raccolti all’insegna di un’economia che deve svilupparsi all’insegna della circolarità. Circa la metà di quelle 900 tonnellate sono finite negli impianti di Aquafil, la società tessile di Arco, che ha sposato fin dall’inizio la causa dell’associazione trasformando quei rifiuti in una risorsa fatta di nylon rigenerato, l’Econyl, oggi adottato da marchi globali che vanno dall’abbigliamento sportivo all’alta moda alle società di design e arredamento: da Gucci a Dior, da Speedo ad Arena, da Patagonia a Burberry ad Adidas.

Se la pulizia dei mari si trasforma nell’avvio di un processo virtuoso di riciclo che punta al cento per cento, Healthy Sea si fonda su altre due azioni che sono altrettanto importanti. Da una parte l’aspetto educational per far crescere la coscienza ambientale di bambini e ragazzi rispetto al rispetto dell’ambiente e dei mari in particolare. Dall’altra la prevenzione che punta a sviluppare la consapevolezza di chi fa parte del problema, a partire dai pescatori, non considerati nemici, ma partner per la soluzione del problema se formati a una pesca sostenibile che non impatta sui mari.

Fonte: Il Sole 24 Ore