
Il paradosso dei cambi: ecco perché il dollaro perde quota ma Wall Street risale
Il dollaro minaccia di colare a picco e Wall Street rialza la testa, raggiunge nuovi massimi storici e prova a invertire quell’inerzia che l’ha vista arrancare dopo lungo tempo dietro alle Borse europee. Un apparente controsenso, quando si guarda alla tendenza storica, che in passato ha visto in media andare di pari passo la crescita dell’S&P 500 e quella del biglietto verde, così come in modo del tutto speculare le crisi di entrambi si sono sovrapposte nel lungo periodo.
L’eccezione del 2025
Il 2025 che ci ha sorpreso per molti altri movimenti (non ultimo il risveglio dell’Europa) sembra anche in questo caso rappresentare un’eccezione. Prendendo come parametro di riferimento il cambio fra euro e dollaro si può infatti notare che almeno due terzi del deprezzamento subito dalla valuta Usa si sono con centrati negli ultimi tre mesi. Proprio nello stesso periodo la Borsa di New York ha però ripreso a marciare e la sua performance, pur restando inferiore a quella di Francoforte o Milano da inizio anno, è tornata dai minimi toccati a inizio aprile ad assomigliare a quella che aveva fatto parlare di «eccezionalismo Usa»: +26% per l’S&P 500 e +34% per il Nasdaq fino alla scorsa settimana, rispetto a un pur lusinghiero +12% realizzato dall’indice paneuropeo EuroStoxx 50.
Velocità doppia
L’Europa non si è insomma fermata, ma gli Stati Uniti hanno ricominciato a viaggiare a velocità doppia, se non di più. Di esempi illustri in cui la svalutazione della moneta ha coinciso con il rilancio del mercato azionario locale il passato è pieno e il recente rally di Tokyo nel segno dello yen debole è forse l’ultimo eclatante in ordine di tempo. E’ tuttavia chiaro che la prima potenza economica mondiale fa rischia di fare discorso a sé, anche perché è tendenzialmente importatrice di beni e servizi e quindi sulla carta non necessariamente favorita da un simile movimento valutario.
Anche per questo c’è chi considera con un minimo di scetticismo il legame fra dollaro debole e risveglio di Wall Street. «Non dobbiamo dimenticare – avverte Maria Paola Toschi, Global Market Strategist di Jp Morgan Asset Management – che il rimbalzo ha seguito un processo di aggiustamento rilevante dovuto alla disaffezione relativa degli investitori per gli asset Usa e può essere considerato quindi fisiologico». L’idea in questo caso è che vi siano quindi molti altri fattori decisivi in ballo, non ultimi ovviamente il tema delle finanze pubbliche americane e la questione dei dazi sulla quale si continua a discutere.
L’impatto per l’Europa
Ma se un periodo così breve può chiaramente non fare tendenza (secondo i calcoli di Jp Morgan fra il 2011 e oggi a una sovraperformance dell’azionario Usa nei confronti del resto del mondo che sfiora il 10% annuo si è accompagnata una rivalutazione media del dollaro del 3%), l’impatto che l’apprezzamento dell’euro esercita sugli utili delle aziende quotate europee più orientate all’export, e quindi di riflesso sulle Borse, rischia di essere comunque tutt’altro che trascurabile. «La nuova tornata di trimestrali è in arrivo e sarà importante fare attenzione non tanto ai dati del bilancio appena chiuso, quanto alle indicazioni che i manager daranno per il resto dell’anno» conferma Alessandro Cominelli, Executive Director di Cfe Finance, sottolineando come parti del manifatturiero, la chimica, l’automotive. oltre ovviamente al lusso, siano i settori potenzialmente più interessati da una revisione.
Fonte: Il Sole 24 Ore