Il paradosso del Sud: utility in crescita, infrastrutture ferme

Il paradosso del Sud: utility in crescita, infrastrutture ferme

Un valore aggiunto di oltre 8,3 miliardi di euro, 112mila addetti e un peso crescente nell’economia nazionale: le utility del Mezzogiorno si confermano un pilastro produttivo del Paese. Ma dietro questi numeri si nasconde un sistema ancora zavorrato da ritardi strutturali e da un Pnrr che fatica, soprattutto nei settori più delicati come rifiuti, acqua ed energia. È la fotografia che emerge dal Rapporto Sud 2025 di Utilitalia e Svimez, presentato a Roma.

Un comparto solido ma diseguale

Nel 2024, le utility meridionali – energia, acqua, rifiuti, servizi ambientali – hanno generato il 27,3% del valore aggiunto nazionale del settore, con una produttività media di 75.348 euro per addetto, superiore del 17,3% rispetto alla media industriale dell’area e del 24,7% rispetto all’economia complessiva. L’occupazione è in crescita di 5 mila unità rispetto al 2021, segnale di un comparto che ha retto l’urto delle crisi energetiche e inflazionistiche, consolidandosi come infrastruttura economica e industriale del Mezzogiorno. Eppure, nonostante la buona performance complessiva, il divario territoriale resta evidente. La crescita reale del Pil tra 2021 e 2024 è stata più alta nel Sud (+8,5% contro il 5,8% del Centro-Nord), ma ancora trainata da spesa pubblica e investimenti straordinari legati al Pnrr, non da una struttura produttiva pienamente autonoma. «I dati dimostrano che il sistema meridionale delle utility – evidenzia Luca Bianchi, direttore generale della Svimez – mantiene un ruolo di primo piano nel consolidamento della crescita sperimentata dal Mezzogiorno in tutta la fase post covid. Elevati livelli di produttività e l’aumento della base occupazionale sono segnali che qualificano le utility come una chiave di volta per la trasformazione del tessuto economico meridionale».

Rifiuti, un ciclo ancora incompiuto

È nel settore dei rifiuti che il gap infrastrutturale si fa più evidente. Gran parte del Sud, in particolare Sicilia, Calabria e Campania, non dispone ancora di impianti sufficienti per il trattamento e il recupero della frazione non riciclabile. Questo deficit si traduce in costi ambientali e logistici altissimi: tonnellate di rifiuti viaggiano verso il Nord o all’estero, mentre le regioni meridionali restano esposte a emergenze ricorrenti e infrazioni europee. Secondo le stime Svimez, colmare il gap impiantistico significherebbe generare 1,2 miliardi di euro di Pil aggiuntivo e 21mila nuovi posti di lavoro, di cui circa il 40% solo in Sicilia. A questi si aggiungerebbero 4mila addetti stabili per la gestione e manutenzione degli impianti. Per Utilitalia, servono piani regionali coerenti, autorizzazioni più rapide e strumenti economici innovativi come i Certificati di efficienza economica circolare e i Titoli di efficienza energetica circolare, per premiare le migliori performance di recupero e riciclo.

Pnrr: grande banco di prova

Il Pnrr resta il grande banco di prova. Le risorse destinate al comparto ammontano a 10,4 miliardi, di cui il 40% al Mezzogiorno (Campania 999 milioni, Sicilia 960, Puglia 737). Ma i numeri sull’attuazione raccontano una realtà diversa: a metà 2025, solo il 24% delle risorse risulta pagato, con una forbice evidente tra Nord e Sud — 30% contro 14,8%. Il ritardo si concentra soprattutto nei progetti di lavori pubblici, che rappresentano circa l’80% del valore totale. In termini procedurali, la maggior parte dei progetti è avviata, ma solo l’1,2% nel Mezzogiorno risulta concluso, il 69% è in fase di collaudo e il 2,5% deve ancora partire e il resto fa parte dei cantieri in corso. Con meno di un anno alla scadenza del Piano, la lentezza amministrativa rischia di compromettere la piena utilizzazione dei fondi.

Fonte: Il Sole 24 Ore