
Il Parlamento Ue dice stop all’uso di termini come «veggie burger» o «hamburger di soia»
Marcia indietro del Parlamento europeo sul meat sounding. Con 355 voti favorevoli e 247 voti contrari, la plenaria ha approvato un emendamento voluto dai Popolari che – all’interno di una proposta di regolamento sul rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare – mette al bando l’uso di denominazioni di origine animale per prodotti derivati da proteine vegetali.
Una volta completato l’iter (prima di entrare in vigore dovrà essere negoziato con i Governi dei 27 Paesi riuniti nel Consiglio), forse già dal 2028, i produttori di plant based non potranno più etichettare come “burger veg”, o “hamburger di soia”, o “salsiccia di lenticchie” i propri cibi vegetali, leader di mercato per un ritrovato trend healthy, animalista o sostenibile. E ciò varrà anche per i termini bistecche, scaloppine, tuorli d’uovo, albumi d’uovo, esplicitamente citati nella black list contenuta nel regolamento. Oggi tali denominazioni sono consentite, purché il packaging indichi chiaramente che si tratta di alimenti di origine vegetale. «Un hamburger è un hamburger: dobbiamo chiamare le cose con il loro nome» è il mantra di Céline Imart, euro-deputata francese (Ppe) relatrice del provvedimento. L’europarlamentare, che nella vita è anche una coltivatrice di cereali, denuncia «l’aspetto ingannevole nell’uso di queste denominazioni».
Per Herbert Dorfmann (Ppe-Svp) si tratta di operare «in una logica di coerenza con le normative europee, che già proteggono i termini derivati dai prodotti lattiero-caseari». La visione rispecchia fedelmente quella del settore francese dell’allevamento (Interbev), che ne fa una questione di trasparenza ed è condivisa anche da altri euro-parlamentari, come l’italiano Dario Nardella (S&D-Pd), che da fiorentino difende l’identità del cibo: «Bistecca di maiale o di cavolfiore non mi paiono la stessa cosa, altrimenti entriamo in un caos di nomi». La causa vede in prima fila anche le nostre associazioni di categoria, Coldiretti su tutte. Il tema, estremamente divisivo, è stato oggetto di discussione a Strasburgo già nel 2020, con gli euro-deputati che hanno fatto fronte contro il cosiddetto Veggie Burger Ban; ma le elezioni europee del 2024 hanno modificato gli assetti, concedendo più seggi agli euro-deputati di destra, che rivendicano una identità di vedute con il settore agricolo (anche se in plenaria il Ppe ha concesso libertà di voto). In Italia il divieto all’uso di meat sounding è stato introdotto con la legge contro la carne coltivata nel 2023, ma di fatto non è mai diventato operativo, in assenza di un decreto attuativo.
Nel 2024, inoltre, una sentenza della Corte di Giustizia Ue, chiamata a pronunciarsi in una causa intentata dall’azienda californiana pioniera del plant based, Beyond Meat, contro il decreto francese che vieta l’uso di termini tradizionali legati al mondo animale per prodotti a base di proteine vegetali, ha messo la pietra tombale sul divieto stabilendo che, in assenza di denominazioni legali ad hoc, uno Stato membro non possa impedire ai produttori di utilizzare termini tradizionalmente associati ai cibi di origine animale per commercializzare cibi plant based. I giudici hanno anche bocciato i provvedimenti nazionali che stabiliscono tenori di proteine vegetali (minimi) al di sotto dei quali il termine fake è consentito. La messa al bando auspicata dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, aveva messo in allarme l’industria del plant based in Italia, un comparto in fortissima crescita, con un fatturato intorno ai 700 milioni di euro.
Una stretta sul divieto all’uso di denominazioni ormai familiari ai consumatori, creerebbe infatti un effetto destabilizzante e provocherebbe un terremoto su larga scala, costringendo a rivedere packaging, marketing, posizionamento sugli scaffali dei prodotti. Analoga preoccupazione è stata espressa anche dalle aziende tedesche e del Nord Europa, dove il comparto è in forte ascesa da anni.
Fonte: Il Sole 24 Ore