Il pomodoro italiano è minacciato da clima e prodotti cinesi

Il pomodoro italiano è minacciato da clima e prodotti cinesi

La concorrenza sleale di Paesi extra Ue che non rispettano regole di sostenibilità ambientale e sociale; gli effetti devastanti del cambiamento climatico in agricoltura; le infrastrutture idriche deficitarie. Sono i tre nodi che rischiano di soffocare la filiera italiana del pomodoro. In gioco c’è il futuro di un comparto bandiera del Made in Italy, perché l’industria conserviera è terza per importanza nel mondo dopo Cina e Stati Uniti, con i suoi 5,5 miliardi di euro di fatturato e 5,3 milioni di tonnellate di produzione. Ed è anche un polmone chiave per il Paese in termini di occupazione: garantisce 10mila posti di lavoro fissi e altri 25mila stagionali, senza considerare l’indotto.

Sono numeri e messaggi emersi durante l’assemblea pubblica di Anicav (Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali), che si è svolta ieri a Parma in occasione di “Il Filo Rosso del Pomodoro”, l’appuntamento che da 12 edizioni mette a confronto tutti i protagonisti dell’industria del pomodoro. «Tra infrastrutture strategiche e tutela del Made in Italy è il tema scelto per questa giornata, due argomenti di grande importanza e attualità su cui chiediamo alla politica nazionale ed europea delle risposte. Noi imprenditori abbiamo tenacia e ottimismo per progettare e investire anche in tempi incerti, chiediamo solo di poter fare il nostro lavoro in un contesto competitivo leale e con regole certe», afferma Marco Serafini, presidente di Anicav, la più grande associazione di imprese di trasformazione del pomodoro a livello mondiale per numero di aziende (oltre 100) e quantità di prodotto trasformato, circa il 70% di tutto il lavorato in Italia e la quasi totalità del pomodoro pelato intero prodotto nel mondo.

Sono richieste pragmatiche quelle che la filiera del pomodoro avanza alle istituzioni, «a partire da regole chiare, condivise e metodologie di analisi scientificamente riconosciute per individuare l’origine della materia prima, per combattere le frodi ed evitare danni reputazionali», sottolinea il dg di Anicav, Giovanni De Angelis, facendo riferimento ai fatti di cronaca accaduti in Gran Bretagna e che chiamano in causa, tra le altre, l’azienda Petti, perché un’inchiesta giornalistica ha messo in dubbio l’origine del pomodoro utilizzato per alcune passate a scaffale. E occorre che l’Italia razionalizzi le competenze e le norme relative alla gestione dell’acqua e investa rapidamente sulle infrastrutture idriche, dalla diga di Vetto nel distretto del Nord Italia al collegamento tra la diga di Occhito (Foggia) e quella del Liscione (Campobasso) nel bacino del Centro-Sud. E poi ci sono le richieste all’Europa.

«Siamo “culturalmente” favorevoli a mercati aperti e liberi da dazi, tuttavia in alcuni casi limite potrebbe essere necessario porre in essere mirate politiche protezionistiche perché un’equa concorrenza presuppone che tutti rispettino le stesse regole», aggiunge De Angelis. Il fatto che la Cina abbia aumentato del 31% la produzione nell’ultimo anno (+68% sul 2022) mentre l’Italia ha perso il 2,5% e gli Usa il 14%, la dice lunga sulla minaccia dal Far East. Soprattutto quando si compete sui mercati internazionali, su cui la filiera italiana sta scommettendo (+9% l’export nei primi sei mesi del 2024), anche per compensare la debolezza dei consumi domestici (-1,2% in volume). Anicav chiede inoltre a Bruxelles di estendere a livello europeo la norma, già in vigore in Italia, in base alla quale la passata deve essere ottenuta solo da pomodoro fresco, con obbligo di riportare in etichetta zona di coltivazione e Paese di lavorazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore