il potere dell’ottimismo e della speranza nel raggiungimento degli obiettivi

il potere dell’ottimismo e della speranza nel raggiungimento degli obiettivi

Ogni volta che mi interrogo sul tema da proporre in questa rubrica, che ogni tanto ho il privilegio di curare, la scelta non è facile. Trovo che, soprattutto in questo momento di cambio di epoca, siano molte le competenze necessarie per governarne le acque inesplorate. Tuttavia, oggi ho intenzione di presentarvi una riflessione sul ruolo che l’ottimismo ha nell’esercizio della leadership, intesa come la capacità di gestire in primis noi stessi e poi gli altri o altre “cose”.

L’ottimismo disposizionale – descritto così in psicologia perché relativo alle attitudini acquisite – consta nell’aspettativa generale e in una tendenza ad aspettarsi che il futuro sarà ricco di eventi favorevoli, occasioni positive ed esiti di successo (Scheier & Carver, 1985; Scheier, Carver, & Bridges, 1994). Esso rappresenta un’importante caratteristica individuale capace di dirigere e orientare la nostra condotta in numerosi contesti di vita. Le tendenze ottimistiche, infatti, sono importanti incentivi a iniziare e sostenere adeguate forme di comportamento orientate al raggiungimento degli obiettivi prefissati, inducendo a pensare che, nonostante le difficoltà, le cose “si metteranno per il meglio”.

In generale, l’ottimismo disposizionale si dimostra anche particolarmente vantaggioso quando le persone devono affrontare avversità e situazioni particolarmente negative. Questo perché esistono – secondo numerosi studi psico-sociali – importanti relazioni causali tra aspettative ottimistiche, il perseguimento di obiettivi personali a medio-breve termine e il benessere soggettivo. In particolare, l’ottimismo disposizionale riveste un ruolo fondamentale nel determinare e orientare i nostri comportamenti finalizzati al raggiungimento di piccoli o grandi obiettivi personali, influenzando l’impegno, i livelli di conflitto, la tendenza a adottare specifiche strategie di coping (fronteggiamento e reazione) e le aspettative di riuscita. Le aspettative ottimistiche, quindi, svolgono un ruolo rilevante nel perseguimento efficace di obiettivi personali e collettivi e questo processo si trasforma in energia positiva, che a sua volta si traduce in benessere soggettivo e di gruppo. Possiamo quindi affermare che l’ottimismo è qualcosa che si esercita e che si concretizza nel fare e nel realizzare delle cose.

Abbiamo, tuttavia, imparato che essere troppo ottimisti può rappresentare un pericolo. Questo atteggiamento, infatti, può portarci a non vedere adeguatamente ciò che sta accadendo al di fuori del nostro perimetro di controllo perché – appunto – sovrastimolati e in preda all’eccesso di dopamina e non solo. La tenacia e la convinzione realizzativa dell’ottimismo può così dimostrarsi un boomerang laddove non sia calmierata dal realismo e dalla capacità di leggere attentamente la fluidità del contesto. In tutto questo, come il mai non troppo citato Daniel Kahneman ci ha insegnato, la condivisione di idee e prospettive con gli altri – soprattutto nella presa di decisione – rappresenta un ago della bilancia essenziale per dosare con saggezza l’ottimismo. Nulla da togliere all’ottimismo, quindi, che, tra l’altro, fa bene anche alla salute, riduce lo stress e, dati alla mano, sembra allungare la vita. Ma cos’è quell’ingrediente che ancor prima di diventare obiettivo del “cosa”, genera il motore del perché e del come? Questo ingrediente è la speranza. La speranza non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che qualcosa che faccio e farò ha un senso, indipendentemente da come finirà.

In questo periodo può sembrare difficile provare un senso di speranza per il futuro. Tra conflitti devastanti, divisioni sociali, incertezza economica, sorprese nella leadership politica, per non parlare della crescente sfida di affrontare il cambiamento climatico ed energetico, è facile chiederci:

Fonte: Il Sole 24 Ore