Il “purpose” in azienda, strumento di trasformazione ancora poco sfruttato

Scavare nell’identità delle organizzazioni, per dare sostanza al significato di “stare” in un’azienda e di misurare il valore del ruolo svolto all’interno dell’organizzazione, a livello di management ma non solo. E poi capire, più pragmaticamente, come le aziende stanno provando a ridefinire i propri meccanismi di funzionamento e di migliorare il rapporto con le comunità in cui operano, facendo proprio il motivo fondamentale per cui un’impresa esiste. È il doppio obiettivo che ha ispirato e dato vita alla ricerca condotta a quattro mani da Polimi Graduate School of Management e BCG BrightHouse in collaborazione con BVA-DOXA, ricerca che ha coinvolto oltre 500 fra C-Level (il 20% della popolazione censita), manager e senior manager appartenenti ad aziende italiane di diverse dimensioni attive nei settori dei servizi, dell’industria e del commercio. Il focus del lavoro di analisi, di fatto il primo condotto in Italia specificamente sul tema del purpose come spiegano i diretti interessati, è coinciso con una valutazione sulla percezione e l’utilizzo del purpose all’interno dell’organizzazione e la sua correlazione con il livello di innovazione percepito entro i confini del contesto aziendale.

Josip Kotlar, curatore della ricerca e Associate Dean for strategic projects del POLIMI GsoM, ha illustrato i tratti salienti dello studio sintetizzando il pensiero dei manager oggetto di indagine con due percentuali: la prima vede il 70% dei rispondenti affermare come la propria azienda abbia un purpose chiaro e stimolante (e si sale al 76% nelle imprese che operano nel mondo dei servizi) mentre la seconda attesta come il 69% si dica convinto che la rilevanza di questo concetto aumenterà nel corso dei prossimi. Due indicatori decisamente confortanti, a primo avviso, che confermano come l’adozione del purpose sta diventando sempre più diffusa nelle aziende italiane, in linea con la tendenza che ha elevato negli ultimi anni questo “fattore” a un ruolo sempre più rilevante all’interno dell’agenda dei principali decisori economici, sociali e politici. «La ricerca – sottolinea in proposito ancora Kotlar – afferma con decisione che il purpose oggi in Italia non è più percepito solo come un grande contributore sociale ma anche come un potente elemento di confronto per prendere le decisioni strategiche, e questa è una tendenza che pensiamo avrà delle conseguenze importanti per le imprese italiane e per la loro leadership».

I due indicatori di cui sopra, però, nascondono il classico rovescio della medaglia: il potenziale di questo strumento, infatti, non è stato ancora pienamente sfruttato come risorsa e di questo avviso sono infatti quattro manager su dieci. Le cause? Riflettono diverse componenti, fra cui le principali sono la carenza di una comunicazione efficace intorno al purpose (sia internamente sia verso l’esterno) e lo scarso allineamento fra leadership e collaboratori, ai quali si aggiunge la penuria di strumenti per una sua idonea misurazione. Per contro, le medie e grandi aziende che in Italia implementano concretamente il concetto di purpose dichiarano vantaggi nell’ottenimento degli obiettivi aziendali (per il 62% del totale intervistati e per il 73% dei Ceo), nell’esperienza quotidiana dei dipendenti (per il 58% dei rispondenti) e nel rafforzamento della reputazione esterna dell’azienda (per il 57%).

Uno degli obiettivi dello studio era quello di rilevare il ruolo giocato dal purpose nel processo di trasformazione (del business) di un’organizzazione attraverso alcuni ambiti di azione dove tale strumento può essere integrato, e più precisamente la strategia, la cultura aziendale (le persone), le evoluzioni organizzative (il futuro) e la dimensione sociale. Considerando le quattro aree evidenziate, è emerso, in linea generale, come le imprese più capaci di cambiare pelle e più predisposte al cambiamento sono anche quelle che stanno più seriamente affrontando il tema e si dimostrano più attive nello scaricare a terra il valore del purpose. Francesco Guidara, Managing Director di BCG BrightHouse, ha rimarcato in proposito un concetto: «Quando applicato, comunicato e condiviso internamente, questo strumento è oggi la principale leva di trasformazione delle imprese, e la sola capace di lavorare a tutti i livelli».

Non mancano alcuni esempi pratici di applicazione di questo approccio, come IBM, protagonista di una grande rivoluzione del proprio business model, e testimonianze emblematiche, come il “Think Different” di Apple o il “Just do it” di Nike, della capacità di un’azienda o di un marchio di presentarsi in modo chiaro sul mercato e di entrare in totale relazione con le persone e la società. Tornando all’Italia, la sensazione è che si sia solo all’inizio di un percorso. «Al momento siamo fermi allo stadio numero uno – conferma infatti Guidara – e se questo stallo dovesse permanere rischiamo di perdere un’occasione. L’indagine ci dice che il management è coinvolto attivamente in una profonda riflessione del modo di vivere l’organizzazione, e trova sponda in una cresciuta e diffusa consapevolezza anche a livello di board».

Fonte: Il Sole 24 Ore