Il ritorno di Azione – Il Sole 24 ORE

Non bastarono neppure l’assassinio di Carlo e Nello Rosselli, da parte dei sicari della Cagoule in Francia, le aggressioni fasciste ed il confino di Lussu a spegnere questo grande sogno repubblicano, socialista e democratico. E così quel sogno venne ripreso anni più tardi, durante la seconda guerra mondiale.

In una nota riunione del 1942, tenutasi nella casa romana di Federico Comandini, figlio di Ubaldo, già ministro repubblicano nel Governo Boselli, il Partito d’Azione venne rifondato. A quella riunione parteciparono alcuni dei più illustri esponenti dell’antifascismo di quegli anni: filosofi, intellettuali, partigiani come Guido Calogero, Ugo La Malfa, Mario Vinciguerra, Edoardo Volterra, Alberto Damiani. Tanti altri aderirono successivamente, come Ferruccio Parri, subito chiamato a presiedere il Governo; Piero Calamandrei, Adolfo Tino, Mario Bracci, di ispirazione liberal democratica; altri avevano idee radicali e progressiste, come Adolfo Omodeo, Guido Dorso, Luigi Salvatorelli; altri ancora, come Riccardo Lombardi, Norberto Bobbio e Tristano Codignola, erano liberalsocialisti. I sette punti del programma azionista riflettevano le emergenze dell’epoca ma contenevano anche una visione lungimirante e avanguardistica dell’Italia e dell’Europa.

Essi propugnavano la nascita dello Stato repubblicano, invocavano la laicità dello Stato, la riforma agraria, l’autonomia ed il regionalismo dei territori, la federazione dei popoli europei. Punto, questo, raccolto e sviluppato nel Manifesto di Ventotene, scritto da Altiero Spinelli, Enrico Rossi ed Eugenio Colorni. Tutti antifascisti rinchiusi nel confino delle isole pontine consapevoli, con grande intuizione, che lo Stato ottocentesco avrebbe dovuto, un giorno, lasciare il passo ad un’organizzazione più ampia, di ispirazione e dimensione europea. Quella che, a distanza di oltre settant’anni, non siamo ancora riusciti a completare.

Anche il rifondato Partito d’Azione esaurì la sua spinta innovatrice, nel dopoguerra, rimanendo da allora sopito, impotente spettatore di una politica che, nei decenni a venire, avrebbe celebrato la nascita e la morte di tanti partiti, avvitandosi, sempre più, nei suoi mali endemici: clientelismo, correntismo, leaderismo. Sino ai minimi termini in cui essa è precipitata nei giorni nostri.

Azionismo di nuovo protagonista

Non poteva dunque tardare oltre il risveglio dell’Azionismo che, dall’oblio, torna di nuovo protagonista. E con esso un rinnovato rapporto tra individuo e potere, senza prevaricazioni dell’uno verso l’altro e viceversa; un rapporto ispirato al pensiero socialista-liberale (o liberalista – sociale) al crocevia delle esperienze di Carlo Rosselli e Piero Gobetti. In questo, possibile equilibrio, lo Stato recupera il proprio ruolo: regolatore ed erogatore di servizi; non più ammortizzatore sociale, merce di scambio per politiche clientelari, imprenditore e occupatore seriale di aspiranti al posto fisso. Esso non viene smantellato e archiviato, come vorrebbe una certa corrente di pensiero neoliberista, né reso obeso e improduttivo, come vorrebbero gli statalisti delle nazionalizzazioni, dei sussidi, dei pensionamenti facili. Lo Stato non viene neppure assorbito del tutto nell’Unione europea o annichilito dalla globalizzazione. E con esso la sovranità, che si esprime attraverso la rappresentanza. Ben diversi sono i sovranismi che oggi tanto proliferano per incapacità della politica di tutelare l’interesse nazionale e partecipare proficuamente al processo di integrazione europea. La UE assomiglia infatti a un grande condominio. Ovunque i condomini, distratti o assenti, subiscono le decisioni e gli interessi altrui. La soluzione è partecipare di più e meglio, non sciogliere il condominio.

Fonte: Il Sole 24 Ore