Il ritratto “al naturale” di Giovan Battista Moroni alle Gallerie d’Italia

Definito da Berenson “l’unico mero ritrattista che l’Italia abbia mai prodotto”, Giovan Battista Moroni in Gallerie d’Italia viene presentato senza troppe velleità per ciò che sapeva riprodurre al meglio: il ritratto “in azione”. Lontano da pomposità superflue, il Moroni coglie i personaggi rappresentati nel bel mezzo di un gesto, allontanandosi dagli aridi ritratti ufficiali del tempo.

La mostra “Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo” – curata da Arturo Galansino e Simone Facchinetti – celebra l’artista rinascimentale bergamasco ponendolo a confronto con opere di Alessandro Bonvicino detto il Moretto, suo maestro di bottega bresciana, e del magistrale Lorenzo Lotto. Un’esposizione in nove sezioni che racconta tutta la carriera artistica del Moroni, concentrandosi su confronti e differenze coi suoi contemporanei dell’epoca, elogio al pittore che a fine Cinquecento spianò la strada a Caravaggio.

I formati sempre uguali, i tagli impaginativi che si ripetono, i fondali molto simili rendono il soggetto principale il vero protagonista della scena: “Soleva dir Titiano a’ Rettori destinati dalla Repubblica alla città di Bergomo, che si dovessero far ritrarre dal Morone, che gli faceva naturali” (Carlo Ridolfi).

Oltre i formalismi

Nel corso del Cinquecento infatti i potenti ricorrono di sovente al ritratto: Moroni fa emergere i loro aspetti più intimi e amichevoli, più complici della sfera privata che pubblica. Uno sguardo che va oltre ai formalismi di Stato e che rende le sue opere composizioni “al naturale”, non esimendosi dal registrare difetti fisici (rughe, espressioni accigliate o di compatimento, ombre “caravaggesche” e minuti dettagli) della persona ritratta: “poiché si chiamano ritratti al naturale si dovria curare ancora che la faccia o altra parte del corpo non fosse fatta più bel a o più grave” (Gabriele Paleotti).

I ritratti del Moroni, scrive Roberto Longhi, appaiono “così veri, semplici, documentarii da comunicarci addirittura la certezza di averne conosciuto i modelli”. Una strategia tecnica perfezionata nel corso del tempo il sorprendente limpido naturalismo dei dipinti moroniani: in primo luogo, l’artista copia il modello in un formato a grandezza naturale, contribuendo a creare l’illusione di stare di fronte a un soggetto reale. Moroni è noto per dipingere alla prima, creando in tal modo un’espressività immediata formidabile, luminosa e vibrante. Una luce che batte trasversalmente sulla parete, rendendo vivo lo sfondo scarno, ripresa prima da Tiziano e poi da Caravaggio stesso. Splendida la sezione dedicata alle pale d’altare (con confronti stilistici di opere del Moretto), che durante il lungo episcopato di Federico Cornaro – vescovo di Bergamo dal 1561 al 1577 – commissionò a Moroni la produzione di immagini devozionali in sostituzione alle vecchie, aggiornate alle sensibilità e ai tratti contemporanei.

Fonte: Il Sole 24 Ore