Il “Tancredi” di Rossini al Festival della Valle d’Itria

Il “Tancredi” di Rossini al Festival della Valle d’Itria

Il “Tancredi” di Rossini al Festival della Valle d’Itria è un piatto succulento, per il piacere dei belcantisti e per quello dei curiosi di stile dei grandi. Il medesimo impianto del precedente Britten firmato da Giuseppe Stellato, con le due torrette agli estremi della scena raggiungibili a scale rappresenta un principio di sana economia. E va bene anche la giostra rossa di metallo rosso sbiadito dove il bambino di “Owen Wingrave” giocava: là era simbolo di innocente pace, qui forse dei giri e rigiri dei da capo rossiniani. Il tutto potrebbe bastare.

Ma il regista Andrea Bernard non frena l’effervescente creatività, che lo posiziona tra i più interessanti della sua giovane generazione, e dalla giostra genera un intero parco giochi e, per separare i campi tra i bellicosi contendenti siculi e saraceni, usa paratie di metallo, tipo Guantanamo o qualsiasi recinto di reclusione.

E ancora, per dare un senso all’azione e ai due finali – che peraltro starebbero bene così come sono, assoluti al pari della musica di Rossini – si inventa la storia di un bambino, delizioso e già molto bravo, un attore Carlo Buonfrate, ma che distoglie attenzione e soprattutto tensione. Dice “Nooo”, quando Tancredi muore.

E il cavaliere per effetto magico si rialza e riprende vita, con espediente un po’ naïf. Al pari dei lenzuoli con disegni infantili: il sole, la famiglia ideale, la scritta “I sogni non muoiono”, che penzolano dalle griglie metalliche. Troppi gesti sono inutili. Troppe spiegazioni ingolfano il motore dell’opera. Forse recuperare una dimensione più astratta e libera non sarebbe male, almeno per provare una strada meno convenzionale. Basta guerre in scena, basta banchi di scuola rovesciati, basta relitti militari. E anche meno divise generiche, e basta costumi di accatto.

Fonte: Il Sole 24 Ore