Il teatro totale di Enrico David al Castello di Rivoli
Varcare la soglia della retrospettiva “Domani torno” di Enrico David al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, equivale a entrare in un territorio sospeso tra memoria, invenzione e tempo dilatato. Il titolo, ripetuto dall’artista per quasi quarant’anni, non indica un ritorno geografico, bensì una tensione poetica e filosofica: “Non vado e non torno da nessuna parte”, tiene a precisare quando lo incontriamo a mezz’ora di auto dal centro di Torino, evocando un nostos ideale, un domani che è insieme promessa e precarietà, desiderio di definizione e inevitabile transito.
La retrospettiva, curata da Marianna Vecellio, si sviluppa in sei ambienti monumentali che corrispondono ai pilastri della pratica creativa dell’artista. Non è la cronologia a determinare il percorso, ma un’architettura emozionale, un laboratorio di visioni in cui il grottesco, il carnevalesco, il teatrale e l’autobiografico si intrecciano in un dialogo instabile. La morte improvvisa del padre durante una cena – trauma fondante dell’adolescenza di David – permea l’intera opera, trasformandosi in una memoria invisibile che guida la scelta dei materiali e dei gesti plastici, ricordando la riflessione di Freud sul rapporto tra Eros e Thanatos, tra vitalità creativa e confronti con l’assenza.
Teatro totale
L’allestimento, concepito dall’artista stesso, trasforma lo spazio della Manica Lunga del Castello in un teatro totale: pedane, arazzi, quadri rotanti e installazioni sospese evocano le fiere campionarie degli anni Settanta, frequentate da David bambino, e al contempo ricreano una domesticità reinventata, come in Ultra Paste, dove una cameretta verde smeraldo ospita un ragazzo ritratto di spalle su un manichino snodabile. Ogni elemento diventa dispositivo poetico: la quotidianità, qui, si trasfigura in metafisica, richiamando le atmosfere sospese dei quadri di Giorgio de Chirico, presente nella mostra con sei opere provenienti dalla collezione di Villa Cerruti, a pochi passi dal castello.
La manualità, il contatto con le arti applicate e l’esperienza artigiana dell’infanzia sono alla radice di un linguaggio che attraversa gesso, tessuti, sculture e installazioni monumentali.
Le opere emblematiche, da Madreperlage (2003) a Abduction Cardigan (2009), da Tutto il resto spegnere (2019) alla nuova creazione Il centro dei miei occhi è 160 (1995-2025), mostrano come il disegno diventi “armatura della scultura”, fulcro concettuale e operativo di una poetica che fonde art nouveau, design e gesamtkunstwerk.
Fonte: Il Sole 24 Ore