Il tech in Europa vale 4000 miliardi (di dollari) ma in Italia investimenti in drastico calo

Il tech in Europa vale 4000 miliardi (di dollari) ma in Italia investimenti in drastico calo

Il Vecchio Continente si trova a un bivio: dispone del talento, dell’ambizione e delle idee per essere un attore leader in campo digitale ma non ha ancora realizzato appieno il proprio potenziale sulla scena globale. Recita così la nota che accompagna l’undicesimo rapporto del fondo di investimento Atomico sullo stato della tecnologia in Europa pubblicato in queste ore (e consultabile al sito www.stateofeuropeantech.com), confermando come i presupposti per scommettere nel tech business sono stati creati e come il livello di ottimismo abbia raggiunto il livello più alto degli ultimi dieci anni.

Il passo indietro del Belpaese

Alcuni numeri spiegano bene le potenzialità di questo settore: l’Europa conta quasi 40.000 aziende tecnologiche finanziate, rispetto alle 13.000 del 2016, è il valore del comparto è calcolabile in 4000 miliardi di dollari, una cifra che rappresenta il 15% del suo Pil complessivo. Il numero di investitori in innovazione attivi nella regione ora ammonta a 2850, in aumento rispetto ai 1350 del 2016, eppure, alcune lacune strutturali implicano il rischio di non generare migliaia di miliardi di valore della produzione. Nondimeno, solo il 20% delle aziende europee interagisce attivamente con le startup, contro il 50% degli Stati Uniti, e solo il 9% degli appalti pubblici in Europa è investito nella tecnologia, contro il 20% degli Usa. E l’Italia? Per il nostro Paese il bilancio degli investimenti nel settore tecnologico è negativo, passando dagli 1,3 miliardi registrati nel 2024 ai 758 milioni stimati per il 2025. La flessione del 40% è inequivocabile ma due indicatori lasciano ben sperare: il primo vede il 56% degli intervistati dichiararsi più ottimista sul futuro della tecnologia europea rispetto all’anno precedente e il secondo ufficializza l’ingresso di un nuovo nome nella lista degli unicorni tricolori, con Namirial che si aggiunge a Bending Spoons, Domyn, Technoprobe, Tatatu, Moltiply Group, ScalaPay, Satispay e Kong. L’imperativo di crescere che ha l’Europa, secondo Tom Wehmeier, Partner e Responsabile Intelligence di Atomico, si specchia nel fatto che “la tecnologia è la forza trainante che rimodella il modo in cui governiamo, difendiamo, gestiamo il denaro e forniamo assistenza sanitaria”. Il riferimento al concetto di sovranità digitale continentale, e quindi la capacità di definire il futuro alle proprie condizioni, è esplicito e il rapporto evidenzia in tal senso la tabella di marcia da seguire per creare le condizioni per la prima tech company europea da 1000 miliardi di euro.

L’obiettivo: semplificazione su larga scala

Quasi il 70% dei founder di nuove imprese tecnologiche afferma che l’attuale contesto normativo europeo è troppo restrittivo (solo il 18% degli intervistati lo considera favorevole) e un intervento in questa direzione è non a caso visto come uno dei cambiamenti che migliorerebbero l’ambiente di exit. Ciò che servirebbe, e che anche la politica sta capendo, è un quadro imprenditoriale europeo unificato, con una regolamentazione armonizzata pensata per le aziende di oggi e che assicuri ai founder la possibilità di raccogliere capitali e operare senza problemi oltre confine nell’arco delle 48 ore. Velocità e ambizione, evidenziano gli esperti di Atomico, sono quindi fondamentali e lo sono altrettanto le azioni per incentivare gli “inventor” a diventare fondatori e per allineare i termini degli spin-out agli standard globali. A conferma di una tendenza che sta già prendendo piede, Londra ha dominato il mercato dei venture capital nel 2024 con otto fondi nei primi dieci mentre nel 2025 sono le aziende francesi e tedesche ad aver occupato sette poltrone della top ten.

Alla caccia di talenti

Il dato suonerà a qualcuno strano ma il bacino di talenti europeo è in crescita (anche se solo del 4%), raggiungendo quota i 4,6 milioni di figure nell’ultimo anno, e la regione è alla pari con gli Stati Uniti e l’Asia in termini di creazione di startup anche grazie ai flussi in entrata di cervelli internazionali in e Un altro dato positivo riguarda la percentuale di founder di aziende di intelligenza artificiale che rimane in Europa, salita dal 74% del 2016 all’81% attuale mentre il 42% afferma che diventare imprenditore oggi in Europa è più attraente rispetto a un anno fa e il 51% si dice infine convinto che fare impresa tech nel Vecchio Continente è fondamentale per la propria mission. I buoni presupposti non mancano, quindi, ma la sfida da vincere è ancora assai impegnativa: se solo il 18% delle aziende tecnologiche in fase di seeding fondate in Europa ha sede al di fuori dei confini della regione, questa percentuale sale a circa il 30% con il Series C e oltre, con gli Stati Uniti eletti a destinazione preferita dai founder in “fuga” dall’Europa. La soluzione a questo problema? Una partecipazione azionaria dei dipendenti equa e accessibile, un sistema di visti unico e accelerato che renda il trasferimento dei talenti in Europa semplice e trasparente e una maggiore mobilità degli stessi all’interno dell’aera continentale.

Fonte: Il Sole 24 Ore