Il tonno di Carloforte risorsa per il turismo gastronomico locale

Il tonno di Carloforte risorsa per il turismo gastronomico locale

A Carloforte, sull’Isola di San Pietro, c’è una delle due tonnare ancora in attività in Italia. L’altra è a Portoscuso, sulla costa del Sulcis. A separarle ci sono solo pochi chilometri di mare, attraversati dai tonni che arrivano nelle acque cristalline della Sardegna per la riproduzione. Le loro corse frenetiche, fin dal tempo dei Fenici, si imbattono in un sistema di reti-trappola che finisce nella camera della morte.

La pesca del tonno in Italia

Oggi le mattanze sono meno cruente, con i tonni che non vengono arpionati in una pozza di sangue, ma agganciati ad uno ad uno con gli ami e issati con degli argani in barconi pieni di ghiaccio. Al posto dei ferri uncinati ad attenderli c’è l’ikejime, una tecnica giapponese che, attraverso la penetrazione meccanica nel sistema nervoso del pesce mira a placarne gli spasmi e provocare una morte meno cruenta, che al contempo mantiene integra la qualità delle carni (non solo esteticamente, ma anche impedendo il rilascio di sostanze che ne alterino il sapore e la consistenza).

Quello delle tonnare è tra i metodi di pesca più sostenibili (anche secondo il Wwf) e controllabili, in grado di selezionare i tonni migliori, liberando gli esemplari più piccoli. Ma è anche più dispendioso in termini di tempo, fatica e impiego di risorse umane rispetto agli altri praticati nel Mediterraneo. È soprattutto per questo motivo (ma non solo, tra eccessivo sfruttamento ittico, inquinamento e cambiamento climatico, fino alle scelte politiche: la questione è complessa) che nel tempo le numerose tonnare del Mediterraneo (In Italia erano numerose in tutto il Sud della penisola) sono state dismesse e che ora a questo tipo di pesca in Italia è riservato l’8% delle quote stabilite dall’Iccat (la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico).

Delle 5.283 tonnellate di tonno rosso catturabili in Italia il 70% è riservato alla circuizione – che utilizza reti di grandi dimensioni per catturare interi banchi di pesci vivi che poi in genere vengono destinati all’ingrasso e al mercato giapponese – il 13% ai palangari e il 6% alla piccola pesca.
La maggior parte del pescato a circuizione non uccide i tonni ma li lascia nelle reti per poi destinarli all’ingrasso (per ora in Italia non esistono impianti di questo tipo). Questi esemplari sono poi destinati soprattutto al mercato giapponese e vengono pagati ai prezzi più bassi, mentre quelli dei palangari sono destinati principalmente a pescherie, ristoranti o alla conservazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore