
Il vino siciliano si reinventa: nuovi modelli per vincere sui mercati
La stagione è delle migliori, anzi la migliore negli ultimi anni. Qualcuno parla di normalità della vendemmia in Sicilia, che già la normalità da queste parti è rivoluzione: in ogni caso le previsioni, fin qui, dicono che in Sicilia sarà una bella annata. Secondo l’enologo Giacomo Alberto Manzo, «le quantità attese dovrebbero attestarsi intorno ai livelli del 2022, con una produzione stimata di circa 3,5 milioni di ettolitri di vino e un raccolto complessivo di 4,7-5 milioni di quintali di uva». Un punto fermo perché i produttori siciliani puntano a recuperare le produzioni perse l’anno scorso e nel 2023, anni in cui il calo è stato parecchio alto a causa di siccità e peronospera: insomma in Sicilia non c’è, dicono in tanti, un problema di eccesso di vino in cantina.
Così una stagione tutto sommato tranquilla è l’occasione giusta per un settore che vale almeno mezzo miliardo per ripensare il modello, per rimettere a posto alcuni tasselli di un puzzle che è in continuo cambiamento anche alla luce dei dazi degli Stati Uniti. Il ragionamento è già stato avviato su diversi fronti e i consorzi di tutela e le aziende hanno avviato le loro strategie, tutte innestate su una grande tradizione imprenditoriale. Partendo da un dato che è, prima di tutto, culturale.
La prospettiva culturale
Lo sottolinea Roberto Magnisi, direttore delle Cantine Duca di Salaparuta-Vini Corvo-Florio (gruppo Ilva di Saronno) che da qualche tempo ha avviato una serie di iniziative che legano il vino al territorio e all’arte: «La Sicilia è una terra grande e ogni impresa sta provando a raccontare i territori – dice -. Si sta cercando sempre di più di raccontare il particolare. La Doc Sicilia è il grande ombrello e ciò dà ai Consorzi la grande responsabilità di tutelare il racconto di filiera. Oggi bisogna raccontare la varietà di questa terra e lo devono fare i brand ma lo devono fare anche i consorzi». Duca di Salaparuta, per esempio, lo fa con l’arte; Vini Corvo con il suo target si rivolge a un consumatore diverso con la sponsorizzazione del palermo calcio. «Va fatto un ragionamento culturale – spiega Magnisi – con Corvo cerchiamo di comunicare un nuovo modo di consumare il vino tenendo conti delle diverse identità. Per esempio: con Corvo farei un vino a bassa gradazione alcolica, con Duca di Salaparuta non lo farei mai. E poi: questo dibattito sulla crisi dei consumi va compreso beneperché a me sembra più una crisi della Gdo e non della qualità. Il vino italiano di qualità sta bene. E per quanto riguarda i giovani: bisogna saper raccontare loro una storia, fargli capire il valore, tornare alla cultura appunto». E riavvicinare tutti alla storia e ai territori che è poi l’iniziativa avviata a fine luglio, unisce vino, mobilità sostenibile e patrimonio culturale in un’unica esperienza. Grazie a un sistema integrato treno/navetta gratuita, attivo fino a sabato 30 agosto 2025, i viaggiatori in arrivo da Palermo, Cefalù e da altri poli turistici della costa potranno raggiungere le Cantine Duca di Salaparuta: all’interno delle Cantine, i visitatori vengono accolti da un’esperienza multisensoriale che unisce architettura, memoria produttiva e installazioni artistiche permanenti, come “Poliedrica” di Arrigo Musti, un’opera simbolica che interpreta il territorio.
L’attenzione ai territori e ai giovani
C’è grande consapevolezza sui temi di cui parla Roberto Magnisi in chiave di rapporto con i mercati ma anche con possibilità di sviluppo legati all’enoturismo: in questi giorni un gruppo di americani in visita nelle cantine siciliane ha sottolineato l’importanza della Sicilia autentica» che aggiunge valore a un prodotto già di suo di grande qualità. «Dobbiamo puntare sempre di più a valorizzare i nostri territori e la loro unicità, promuovendo il binomio vino-territorio e le varietà autoctone – dice Mariangela Cambria presidente di Assovini -. La nostra è chiara: esplorazione e diversificazione dei nuovi mercati come Asia e Sud America; enoturismo come leva per la promozione vitivinicola e dei territori; marketing territoriale in sinergia con i diversi attori; comunicazione rivolta ai giovani; progetti di ricerca e sperimentazione per governare le sfide legate al cambiamento climatico e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel comparto vitivinicolo; supporto alle attività di promozione e valorizzazione di varietà autoctone poco conosciute e vitigni reliquia; definizione del vino in un più ampio contesto culturale».
La strategia della Regione e del Consorzio
Ne sono consapevoli all’assessorato regionale all’Agricoltura: «Il punto fondamentale – dice l’assessore Salvatore Barbagallo – è quello dell’apertura a nuovi mercati e ci muoviamo su diversi livelli per portare i nostri vini in aree non battute. Sostenendo la partecipazione alle fiere certo ma anche con l’incoming facendo venire i buyer da noi, facendogli vivere l’esperienza qui in Sicilia. E poi c’è, ovviamente, l’enoturismo che riteniamo sia strategico. Oltre ovviamente a sostenere il settore con l’Ocm vino e con le altre misure». La strategia dei produttori la spiega il direttore del Consorzio Vini Doc Camillo Pugliesi: «Il nostro obiettivo è rendere i vini Doc Sicilia i vini che tutti vogliono bere e degustare, perché sono piacevoli, affascinanti ed eleganti. la riconoscibilità sul mercato: Grillo, Lucido e Nero d’Avola hanno tutte le carte in regola per affermarsi come protagonisti del panorama vitivinicolo internazionale. Per farlo lavoriamo in sinergia con produttori, enti ed istituzioni per promuovere una comunicazione efficace di questi vitigni autoctoni». Uno di questi è il frappato, che è stato protagonista nella zona del ragusano ma si sta diffondendo anche in altre aree produttive: «E’ una varietà più elegante che sfata in Sicilia il mito del vino corposo – dice Arianna Occhipinti che, nella sua azienda ha appena inaugurato un nuovo progetto di ospitalità che si chiama Chaza, che in siciliano significa piazza -. Vent’anni fa ci siamo presi per mano con il frappato, io avevo bisogno della sua eleganza, della sua storia da raccontare, della sua bellezza e stratificazione, del suo potenziale enologico per diventare ciò che sono adesso e il frappato, in fondo, aveva bisogno di me».
Fonte: Il Sole 24 Ore