il voto di fiducia del 8 settembre è a rischio
L’anno scorso i partiti dell’”arco costituzionale” – per usare un’antica espressione italiana – si sono accordati per escludere i candidati Rn: elettori della destra gollista o del centro macroniano sono stati invitati a votare al secondo turno candidati comunisti o della sinistra radicale, e viceversa. Lo sforzo ha avuto qualche successo nel contenere i lepenisti – anche se ha inciso la presenza alcuni candidati decisamente impresentabili – ma si è esaurito subito. Le divergenze, soprattutto sulla riforma delle pensioni, si sono manifestate subito.
A poco servirà l’impegno del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. Le sue consultazioni si sono limitate al centro che sostiene il Governo – Renaissance, il MoDem di Bayrou, Horizons di Edouard Philippe – con l’obiettivo, hanno spiegato ai media francesi fonti presidenziali, di allargare la maggioranza ai socialisti, che saranno ricevuti dal primo ministro soltanto giovedì 4 settembre. «Bisogna cercare il compromesso», ha detto così il capogruppo dei macroniani Gabriel Attal, riferendosi anche alle fasi successive al voto.
Non sembra che il gioco possa riuscire: «La sola parola che mi aspetto ora da lui è arrivederci», ha detto il segretario socialista Olivier Faure, riferendosi al colloquio con Bayrou). Il Ps è oltretutto molto diviso, il voto per la nomina del leader del partito al Congresso di giugno ha scatenato una crisi interna superata soltanto da un accordo tra le tre correnti. Ha provato a collaborare con il Governo ma il rifiuto di toccare l’età legale per le pensioni, alzata nel 2024 a 64 anni, e di introdurre imposte sui ricchi ha impedito al partito di andare oltre senza rischiare di perdere voti.
Persino i Républicains, di centro destra, hanno un po’ preso le distanze dallo stesso Governo di cui fanno parte, pur assicurando di voler «evitare il caos» e di voler votare la fiducia: «Non si poteva chiedere ai francesi di lavorare di più senza guadagnare di più», ha detto il ministro degli Interni Bruno Retailleau, riferendosi alla proposta – di impatto limitato e temporaneo – di tagliare due giorni di festività (peraltro contestata anche dai macroniani). Il capogruppo parlamentare Laurent Wauquiez ha piuttosto proposto una discussione sui tempi di lavoro (le 35 ore) – che però inciderebbe sugli straordinari – e sull’assistenzialismo francese.
La sensazione che Bayrou abbia sbagliato tempi e sostanza della sua politica è quindi forte. L’8 settembre è forse tardi per votare il budget in tempo, ma è troppo presto per costruire un consenso sufficiente su una manovra molto ambiziosa dopo una lunga fase di stallo. Nel rivolgersi all’opinione pubblica – alla vigilia delle manifestazioni di Bloquons tout del 10 settembre – ha poi sbagliato tutto: il richiamo alle responsabilità è diventato quasi un atto di accusa, prima verso i “boomers”, giudicati troppo egoisti verso i giovani, poi verso tutti i francesi, che avrebbero voluto il maxidebito. È stato troppo facile ricordargli che il suo partito ha votato tutte le finanziarie del 2017 a oggi.
Fonte: Il Sole 24 Ore