Ilaria Salis: «Voglio essere processata in Italia, in Ungheria sarei perseguitata»

Ilaria Salis: «Voglio essere processata in Italia, in Ungheria sarei perseguitata»

L’eurodeputata di Avs Ilaria Salis ribadisce «con forza» che vuole essere processata «in Italia» per i presunti reati di cui è accusata dalle autorità ungheresi. «La tutela della mia immunità parlamentare – afferma l’europarlamentare a Bruxelles, in conferenza stampa – è fondamentale non per sottrarmi alla giustizia, ma per proteggermi dalla vendetta ungherese, da un processo ingiusto e da condizioni detentive disumane». «Fin da quei giorni in cui ero in carcere a Budapest – aggiunge – ho sempre chiesto che il processo si svolgesse in Italia. L’ho ribadito anche in audizione, a porte chiuse, davanti ai membri di Juri e lo ribadisco pubblicamente oggi con forza: io auspico che le autorità italiane intervengano quanto prima, al fine di tutelare una propria concittadina e di garantire che i suoi diritti fondamentali siano rispettati». E continua: «La mia richiesta è chiara: voglio essere processata in Italia, non in Ungheria. Un processo con garanzie democratiche, in quel Paese, è impossibile: lo sanno tutti e negarlo significa essere in malafede. Per un dissidente politico o per chiunque sia percepito come avversario del governo, la giustizia in Ungheria è giustizia politica, ideologica. È vendetta e propaganda. Gli strumenti giuridici per aprire un procedimento in Italia esistono e spetta alle autorità italiane attivarli», conclude.

L’eurodeputata: «In Ungheria sarei sottoposta a una persecuzione spietata»

Se Ilaria Salis venisse riconsegnata all’Ungheria verrebbe sottoposta ad una «persecuzione spietata» da parte del governo ungherese, che prosegue anche oggi ad opera del primo ministro Viktor Orban, che continua a «diffamarmi, chiamandomi terrorista». Lo sottolinea la stessa eurodeputata di Avs, in conferenza stampa a Bruxelles, dopo il voto di ieri nella commissione Juri, che ha votato a stretta maggioranza contro la rimozione della sua immunità. Per Salis, «senza un presupposto democratico condiviso, ogni procedura inevitabilmente perde significato e validità. La commissione» Juri del Parlamento «ha riconosciuto ciò che è evidente a chiunque osservi senza pregiudizi: in Ungheria lo Stato di diritto è gravemente compromesso e la magistratura non è più indipendente, come anche lo stesso Parlamento Europeo ha più volte rilevato». E «io, in un simile contesto, sarei sottoposta ad una persecuzione certa e spietata. Questa persecuzione – sottolinea – non è un’ipotesi: ne sono già stata vittima nei 15 mesi di detenzione preventiva, trascorsi in condizioni disumane, sulla base di accuse pretestuose e mai verificate».

Per Salis, «l’accanimento, motivato da ragioni ideologiche, non è mai cessato. Anzi, continua tuttora: il governo ungherese, per bocca dello stesso Orban, non smette di diffamarmi, chiamandomi terrorista e minacciando di sbattermi in galera. Tutto questo senza nemmeno la decenza di attendere un verdetto, violando così il principio elementare della presunzione di innocenza, che è alla base di ogni Stato di diritto degno di questo nome». Stato di diritto che, «evidentemente», continua, non è «alla base di una democrazia illiberale, come la definisce compiaciuto Orban. Non è alla base di una democratura, come la definiscono invece gli scienziati politici. Da quando sono stata eletta al Parlamento Europeo – nota – l’odio del regime nei miei confronti si è ulteriormente intensificato». Per l’eurodeputata, «non è un caso che la richiesta di revoca della mia immunità sia stata trasmessa il giorno successivo al mio intervento in plenaria, proprio di fronte a Orban. Non è un caso che, quando prendo parola in Aula, vengo aggredita con insulti e diffamazioni dal gruppo dei Patrioti, soprattutto dai deputati ungheresi di Fidesz. E non è un caso che il portavoce di Orban», Zoltan Kovacs, «abbia ripetuto più e più volte che il mio posto sarebbe la prigione, non il Parlamento. Tutto ciò dimostra una volontà precisa di screditarmi in quanto eurodeputata, attraverso il metodo della diffamazione e della minaccia», conclude.

Fonte: Il Sole 24 Ore