Import di vini francesi, la domanda resta forte (solo) per i top di gamma. Ma i listini sono in calo

Da un lato gli italiani sono sempre più attenti a premiare le bottiglie nazionali, così come accade con gli altri prodotti del mondo food&beverage sull’onda del “sovranismo alimentare”. Dall’altro i consumi però languono e le esportazioni del vino made in Italy registrano una battuta d’arresto dopo anni di crescita. Ma qual è lo scenario del mondo del vino se lo si guarda dal lato delle importazioni (e delle rispettive vendite nei ristoranti di fine dining italiani)?

Le grandi bottiglie francesi sono ancora il punto di riferimento? Per il mercato mondiale sicuramente sì e dalla capacità dei francesi di valorizzare il prodotto e di fare squadra gli italiani hanno di certo molto da imparare. Il loro fascino non tramonta, soprattutto se guardiamo alla parte più esclusiva del mercato, che è ripartita con uno sprint dopo il Covid, anche in Italia. Tuttavia si comincia a registrare qualche difficoltà, soprattutto se si esce dal gotha dei domain super blasonati, non molto diversamente da quello che sta succedendo sul resto del mercato horeca, dove la distribuzione sta vivendo un momento di rallentamento dopo un periodo di sprint. Anche a causa, probabilmente, di ricarichi troppo elevati sulle bottiglie da parte degli esercenti.

Ad aiutarci a analizzare il mercato è un importatore storico specializzato sui vini francesi come Sarzi Amadè, per cui le bottiglie d’Oltralpe – soprattutto di Borgogna e Bordeaux (150 i Châteaux bordolesi in esclusiva per l’Italia) ma anche Alsazia, Champagne, Valle del Rodano – rappresentano circa il 60% del portafoglio (30% le italiane, molto cresciute negli ultimi anni e il 10% il resto del mondo, per un totale di circa 400 referenze).
La fascia top rimane molto richiesta e anzi si fa fatica a soddisfare la domanda dei ristoranti italiani perché è difficile in primo luogo ottenere le bottiglie che i clienti richiederebbero. Ma come vanno interpretati i forti ribassi registrati dai Bordeaux “en primeur” 2023 (in sostanza gli acquisti in anteprima quando i vini non sono ancora in bottiglia, ndr)?
«È ormai chiaro che l’annata 2023 sarà nel segno della contrazione dei prezzi anche per gli châteaux più quotati. Stiamo ancora aspettando i prezzi di vini importanti come Petrus, château più ambito dal mercato e distribuito in assegnazione diretta da 10 anni dalla nostra società – commenta Alessandro Sarzi Amadè – ma i listini di alcune tra le aziende più prestigiose che trattiamo sono già arrivati e hanno registrato un calo tra il 20 e il 30% rispetto all’annata precedente. Parlo ad esempio di Château Lafite-Rothschild e Château Cheval Blanc».

C’è dunque un calo di interesse per i bordolesi o è “un riassestamento” dopo il picco degli ultimi anni? «La tendenza è un riallineamento dei prezzi all’era pre-covid. Però la voce di questa prossima riduzione di prezzo (le bottiglie dell’annata 2023 saranno consegnate dal 2027, ndr) ha scatenato l’interesse di buyer e clienti affezionati, tanto che abbiamo registrato fin dall’inizio del mese un aumento della domanda per le bottiglie di fascia alta».

Lato Borgogna, si registrerà lo stesso calo dei prezzi? «I prezzi dei vini borgognoni sono più o meno stabili, con le normali eccezioni del caso, ma negli ultimi dieci anni anche i prezzi della Borgogna sono aumentati costantemente, perciò è normale che, con i primi riscontri dell’en primeur di Bordeaux, il sentiment attuale degli operatori sia prudente», dice il distributore.

Fonte: Il Sole 24 Ore